Tanto pe’ scrive, cento anni di Nino Manfredi

di Alessandro Rosati

Questo è un articolo scritto tanto pe’ scrive, insomma pe’ fa quarchecosa. Un po’ come tanti del resto. Capita di mettersi seduto alla scrivania, digitare velocemente sulla tastiera e d’improvviso sentire quell’impulso immediato e inarrestabile di voler dare un senso a quel fiume di parole che scorre impetuoso in testa. In mente, un motivo simpatico e orecchiabile. Recita più o meno così: “Tanto pe’ cantà, perché me sento un friccico ner core…”.

È una celebre canzone di Nino Manfredi (anche se originariamente fu composta dall’inarrivabile Ettore Petrolini), che ne fece un suo cavallo di battaglia, sempre che ne avesse bisogno. Perché, diciamocelo, Manfredi non ha forse la stessa gloria di altri attori del secolo scorso, eppure è stato eccezionale quanto e più di loro.

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Caso Regeni, tra dramma e ingiustizia

di Alessandro Vannucci

I pm della Repubblica hanno ricostruito le dinamiche che caratterizzano la detenzione di Giulio Regeni, le torture che il giovane ricercatore italiano ha subito dalla National Security egiziana dal 25 gennaio al 3 febbraio 2016, quando il suo cadavere fu ritrovato nel tratto stradale che collega Il Cairo e Alessandria. Grazie alle indagini gli investigatori italiani sono riusciti a scoprire che il ricercatore dell’Oxford University fu torturato e seviziato con oggetti roventi, lame, pugni e calci. La procura capitolina ha decretato 4 avvisi di chiusura delle indagini per 4 membri dei servizi segreti egiziani, mentre per il quinto è stata decisa l’archiviazione.

Sequestro di persona pluriaggravato, concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate: accuse pesanti quelle imputate ai presunti colpevoli. I magistrati italiani hanno inoltre evidenziato come le ragioni dell’arresto di Regeni fossero futili e prive di fondamenta. Ciò sfortunatamente non gli ha evitato torture così spietate, che secondo le fonti investigative italiane avrebbero portato alle perdita di organi e lesioni traumatiche cervico dorsale.

Dopo gli ultimi processi le accuse sono ricadute anche sul generale Tariq Sabir, ma anche su Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi, e su Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Quest’ultimo sarebbe il carceriere e boia del nostro compatriota, che abusando del potere di maggiore dell’esercito egiziano ha volontariamente e autonomamente torturato Giulio Regeni fino a portarlo ad un’insufficienza respiratoria centrale, rivelatasi poi causa della morte. L’assassino, secondo i magistrati, non ha agito seguendo ordini di organizzazioni governative ed è stato aiutato da persone rimaste tutt’oggi ignote.

Queste informazioni sono state scoperte grazie all’aiuto di 5 testimoni, uno dei quali afferma di aver visto Regeni ammanettato a terra con segni evidenti di torture nella sala 13 dell’edificio della National Security. Un secondo testimone ha spiegato di avere visto il ricercatore presso la caserma di Dokki, tra le ore 20 e le ore 21 del 25 gennaio. Secondo la ricostruzione Regeni una volta arrivato avrebbe chiesto alla polizia di parlare con un legale. Sempre seguendo la seconda testimonianza la vittima sarebbe stata scortata da 4 uomini vestiti da civili per poi essere bendata e trasportata in macchina in un posto chiamato Lazoughly.

Infine il testimone afferma di avere sentito il cognome Sheriff e il nome Mohamed. In entrambe le ricostruzioni viene affermato che il ragazzo fermato dalla polizia parlasse italiano. Dopo queste ricostruzioni i pm hanno spiegato che gli avvocati difensori hanno venti giorni per trovare prove che dimostrino l’opposto. Prestipino, uno dei pm incaricato del caso insieme a Colaiocco, ha descritto le prove rinvenute come “univoche e significative”. Colaiocco ha poi evidenziato la mancata collaborazione di 13 soggetti dell’autorità statali egiziane.

L’avvocato e la famiglia della vittima si sono poi detti soddisfatti della sentenza e hanno rilasciato dichiarazioni dove definiscono l’Egitto un paese non sicuro e hanno aggiunto che il caso di loro figlio rappresenta come, per lo stato, un vita umana valga meno del profitto derivato dalla vendita di armi e di petrolio. La madre di Giulio ha poi definito la loro battaglia legale come una lotta di civiltà e ha chiesto il ritiro dell’ambasciatore italiano dal Cairo, dato che da parte dell’Egitto non sono stati fatti in avanti, ma anzi indietro e tutt’oggi persistono dubbi e incertezze sulle diverse responsabilità degli enti egiziani e italiani. Molti infatti si chiedono perché nei giorni di prigionia del ricercatore nessuno si sia mosso all’ambasciata o al consolato e se il governo fosse al corrente della situazione.

Il caso irrisolto di Giulio Regeni rappresenta il basso valore di una vita umana, se paragonata ai profitti che derivano dal traffico delle armi. L’Italia ha da diversi anni intrapreso rapporti economici con il governo militare egiziano, come è stato documentato, infatti, la nostra repubblica ha venduto due fregate alla marina egiziana pochi anni fa.

È questo quindi il prezzo di una vita umana? Due navi da guerra per uno stato che non rispetta i diritti civili e reprime con la forza qualsiasi forma di ribellione.

Giulio è stato ucciso brutalmente perché indagava sulle condizioni dei lavoratori e i loro rapporti con i sindacati, ma ciò che scandalizza maggiormente è che nessun politico italiano, durante i giorni di prigionia del giovane ricercatore, si sia mosso nei palazzi dell’ambasciata del consolato a sua tutela. Come può uno stato sovrano come l’Italia, settima potenza mondiale, lasciare che un suo cittadino venga torturato e ucciso da uno stato canaglia come l’Egitto.

Non possiamo pretendere di rendere il mondo un posto migliore se ogni volta che la giustizia e gli interessi commerciali si scontrano, la classe dirigente lascia la vittoria a quest’ultimi, non tutelando e impoverendo la maggior parte della popolazione.

Unione Europea: facciamo chiarezza

Il Premier Giuseppe Conte e la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen

di Alessandro Rosati

L’emergenza Covid-19 ha costretto il Governo Italiano a decretare la chiusura quasi totale delle attività del Paese. La Penisola è rimasta bloccata come in un’istantanea e l’economia, già abbastanza debole, rischia di essere messa in ginocchio.

Aumento della disoccupazione, fallimento delle imprese, diminuzione di diversi punti percentuali del Prodotto Interno Lordo e del valore delle azioni. Queste sono soltanto alcune delle conseguenze a cui andrà incontro l’Italia se non verranno prese misure tempestive, di cui per ora si è visto poco.

 In un clima di incertezza ci si aspetta dunque una presa di posizione forte e decisa da parte del Governo e delle istituzioni Europee. Sin dal primo momento in cui l’Italia (e gradualmente tutto il Vecchio Continente) si è trovata a fronteggiare l’emergenza, l’Unione Europea non è rimasta unita sulla stessa linea politica frantumandosi alle prime divergenze tra paesi. Il Premier Giuseppe Conte e il Governo Italiano hanno immediatamente sottolineato il bisogno urgente di aiuti per la situazione economico-sanitaria disastrosa. Alla chiamata dell’Italia non ha risposto nessuno, o meglio, Germania e Olanda su tutte hanno manifestato la loro perplessità riguardo l’elevata quantità di fondi richiesta. La poca disponibilità di alcuni Stati membri si spiega molto semplicemente: il rischio di non ricevere indietro gli aiuti inviati è alto. Effettivamente, le richieste del Premier prevedono risorse a fondo perduto, dunque con la possibilità di non essere restituite.

 Le trattative si sono arenate e l’UE dopo ciò ha dato un primo grande segnale di fragilità. Il 13 Marzo infatti la Presidente della Banca Centrale Europea Christine Lagarde ha dichiarato che non avrebbe evitato l’aumento dello spread, il valore che indica la differenza tra la rendita dei titoli di Stato Italiani (BTP) e quelli Tedeschi (BUND). Le dichiarazioni hanno avuto un effetto drammatico sull’economia dell’Europa e in particolare dell’Italia, che si aspettava una diminuzione del Tasso d’interesse Europeo (la percentuale di interessi sui fondi prestati dalla BCE alle banche) e che invece ha visto la Borsa di Milano toccare il suo minimo storico al -17%. Si trattava solo dell’inizio di una lunga serie di polemiche e trattative.

 Ad oggi, a più di un mese di distanza, l’Eurogruppo ha proposto diverse manovre economiche e l’Italia non ha ancora deciso a quale aderire. Noi intanto abbiamo deciso di fare un po’ di chiarezza.

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