Chi sono i filosofi? Tafani che punzecchiano la coscienza

di Ludovica Nardi

   L’apologia di Socrate è uno scritto letterario e filosofico nel quale Platone riporta i discorsi tenuti da Socrate in propria difesa nel corso del processo che lo condannò a morte. Era accaduto infatti che Socrate, ormai settantenne, era dovuto salire per la prima volta sul banco degli imputati, per difendersi dalle accuse di corrompere i giovani e di essere empio, rivoltegli da alcuni politici e retori.

   Socrate introduce la sua difesa scusandosi con tono ironico del suo linguaggio semplice col quale prende le distanze dagli altri oratori dicendo: “…..Non al loro modo io sono oratore….” e chiedendo ai giudici di non farsi adescare dalle loro belle parole, ma di accertare la verità che lui dirà. Ma si capisce che la verità non interessa a nessuno, perché il vero motivo delle avversità contro Socrate era di natura politica: infatti per la nuova democrazia l’imputato è ritenuto un soggetto pericoloso e doveva essere eliminato dalla scena politica: le accuse che gli erano state mosse erano solo pretesti.

   Poi inizia la difesa vera e propria, respingendo innanzitutto le calunnie dei vecchi accusatori, negando di essere mai stato un filosofo naturalista, un sofista, e di aver dato lezioni ai giovani dietro compenso. Poi spiega che l’origine di tali accuse è da attribuire alla risposta con la quale l’Oracolo di Delfi l’ha definito il più sapiente fra gli uomini, chiarendo che l’Oracolo non intendeva dire che lui era il più sapiente perché sapeva tutto, ma perché era l’unico a sapere di non sapere, ovvero a non fingere di sapere ciò che non sapeva. E, per verificare tale affermazione ha cominciato a sottoporre ad un attento esame coloro che erano ritenuti depositari del sapere come i politici, i poeti e gli artigiani, accorgendosi che in realtà non sapevano niente e che quindi l’oracolo aveva ragione. Così inizia ad adempiere alla volontà del dio pungolando, “come fa “il tafano col cavallo”, i suoi “sapienti” concittadini, cioè stimolandoli a ragionare, senza avere alcun interesse economico, come dimostra la sua povertà e attirandosi l’interesse di molti giovani che gioivano nell’ascoltare l’esame a cui sottoponeva i suoi concittadini e che iniziarono ad imitarlo. Ma ciò gli procura molti nemici, soprattutto tra coloro che furono da lui esaminati e confutati, in quanto non tutti gli interlocutori erano intelligenti e riconoscevano i propri errori.

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La storia della scienza, maestra di vita

di Giacomo Xin Hu

   In questa sua Breve storia della scienza, prima di ripercorrere la storia delle scoperte e delle riflessioni dell’uomo sulla natura, dalle prime opere scritte fino agli ultimi anni del XX secolo, Eirik Newth sviluppa una premessa relativa all’importanza del sentimento della curiosità considerato come ciò che ha permesso alla specie umana di conoscere il mondo che lo circonda. Fin dai primi passi della sua evoluzione la curiosità è stata fondamentale per l’uomo: lo spirito esplorativo ha portato i nostri antenati a spostarsi per il globo, ad apprendere e a crescere fino ad arrivare ai nostri giorni.  Il compito che l’autore si è dato non è facile: infatti, riportare millenni di scoperte e teorie scientifiche costituisce una grande mole di lavoro che non ammette omissioni.

    L’autore spiega con grande cura tutta la storia dell’uomo facendo focus sulle tappe più importanti della scienza; espone in maniera semplice e concisa, portando diversi esempi, che possono aiutare il lettore a comprendere teorie, che specialmente nell’ultima parte del saggio, diventano più complicate. Nel libro Newth analizza il lavoro della scienza, intesa soprattutto come ricerca della verità, mette in primo piano i processi della conoscenza e il loro rapporto con la società, facendo anche trasparire una visione positiva dello scienziato, elogiandone la ricerca e creando attorno agli scienziati più famosi e importanti la curiosità del lettore. Spiega dunque come si sia evoluto il pensiero razionale e lo confronta con il periodo di riferimento, utilizzando un metodo divulgativo che a mio parere aiuta molto il lettore sia ad allargare la propria visione di un periodo storico, sia per comprendere il rapporto dell’uomo con le innovazioni tecniche nel loro rapporto con le scoperte scientifiche.

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L’arcobaleno della lettura, della filosofia e dell’amicizia al tempo del coronavirus

di Chiara Perrone

  Durante questo periodo particolare mi sono dedicata alla lettura della Lettera sulla felicità di Epicuro, per conoscere meglio le sue teorie riguardo il raggiungimento della felicità, un sentimento che spesso manca a noi giovani e ci sembra così lontano da raggiungere.

   Epicuro è stato un filosofo greco, nato a Samo nel 341 a.C. Egli fondò una scuola all’interno della sua proprietà nella città di Lampasco. Raccolse intorno a se molti discepoli, che erano legati a lui attraverso un vero rapporto d’amicizia. L’amicizia infatti era molto importante per Epicuro, per questo mantenne sempre uno stretto rapporto anche con i suoi allievi lontani, ai quali scriveva molte lettere.

   Nella Lettera sulla felicità sono riportate da Diogene Laerzio, il maggior testimone di Epicuro, tre delle sue più importanti lettere indirizzate ai suoi allievi.

   La lettera a Meneceo tratta dell’etica e in modo particolare del raggiungimento della felicità. Secondo Epicuro non si è mai vecchi per filosofare, né troppo giovani. L’esercizio della filosofia ci procura felicità, e non esiste un’età per essere felici.

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Il calciatore più forte di tutti i tempi

di Alessandro Rosati

   Lisbona, 9 Marzo 1966. In città da qualche giorno si respira un’aria strana: è l’atmosfera della Champions League, quella che allora si chiamava Coppa dei Campioni. L’Estadio da Luz è gremito del pubblico delle grandi occasioni. Più di 50mila spettatori occupano i posti a sedere dell’A Catedral, come usano chiamarlo i tifosi, per assistere ai Quarti di Finale del torneo. Il Manchester United sfida il Benfica padrone di casa.

   La splendida cornice di spettatori passa però in secondo piano, perché in campo c’è un ragazzino che sta stupendo tutti. Ha i capelli lunghi, le basette folte (come erano di moda in quegli anni), una velocità fuori dal comune e una tecnica sbalorditiva. Sulla schiena, sulla maglia rossa, risalta in bianco il numero sette.

   Quel ragazzino di 19 anni è George Best e sta entrando nella storia del calcio. Dopo 11 minuti di gioco ha già realizzato la doppietta stendendo il Benfica di Eusebio, che nei precedenti 5 anni aveva sempre raggiunto la finale di Coppa dei Campioni. Il giorno seguente la stampa Portoghese impazzisce e lo definisce “il quinto Beatles”. Mai soprannome fu più azzeccato: oltre al look del calciatore (molto simile a quello del gruppo Inglese) la genialità era la stessa.

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