Addio ad Ezio Bosso

Il nostro tributo per il musicista scomparso recentemente, sviluppato in due brevi saluti.

Ezio Bosso

Di Alessandro Rosati

 Il Destino, a volte, è beffardo. 

 Come una macchina, non guarda in faccia a nessuno: esegue le sue sentenze con un terribile rigore. È proprio il suo rigore a far paura agli uomini, quella fiscalità da cui non si sfugge, che regola i ritmi dell’umanità e della natura.

 È un nemico silente, un’ombra che si proietta davanti agli occhi e scorre inesorabile.

 E fa paura, eccome se fa paura.

 Forse l’ha avuta anche lui, anche se non lo dimostrava. Quell’uomo magro, dal volto scavato, occhi e capelli scuri, dotato di una gestualità coinvolgente e sempre armato di un sorriso. Quell’uomo che da un po’ di tempo a questa parte stava seduto, purtroppo. 

 Non per sua volontà ovviamente, ma perché un male interiore lo stava consumando lentamente e inesorabilmente.

 Avrete già capito di chi sto parlando: Ezio Bosso.

 Difficile non parlarne, la sua è una di quelle storie tristi, anzi tristissime, ma che lasciano qualcosa in ognuno di noi.

 Di triste però c’è solo l’epilogo, perciò comincierò a raccontare dalla fine.

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Ronad Barthes e l’amore ai tempi del Simposio

di Alissa Piconcelli

   Roland Barthes è uno scrittore, critico letterario e saggista francese (1915-1980). Tra le opere più importanti ricordiamo Il grado zero della scrittura (1953), Miti d’oggi (1957) e La camera chiusa (1980). Frammenti di un discorso amoroso fu pubblicato nel 1977 con l’intento di rappresentare un manuale per gli innamorati.  Al suo interno si trovano molti riferimenti ad altri libri di altri autori, come I dolori del giovane Werther di Goethe, il Simposio di Platone, riferimenti a Nietzsche e Freud. Barthes sostiene che l’amore si manifesti attraverso il linguaggio e di conseguenza la caratteristica principale dell’innamorato è quella di parlare di continuo del sentimento che prova ma il linguaggio non può afferrare un sentimento del genere e ciò fa risultare il modo di esprimersi insufficiente.

   Barthes prende in esame delle parole che fanno riferimento alla sfera amorosa e le commenta, aggiungendo riferimenti agli altri autori. Uno spazio particolarmente notevole è dedicato –  dato che si parla di amore era inevitabile –  al Simposio di Platone.

  Questo brano parla del vestiario del soggetto e del modo in cui si prepara per vedere il suo amato:

   “Socrate: <<mi sono fatto bello, per andare bello da un bello.>> Io devo rassomigliare a chi amo. Io postulo (ed è questo ciò che mi delizia) una conformità di essenza fra l’altro e me. Immagine, imitazione: faccio il miglior numero possibile di cose come l’altro. Io voglio essere l’altro, voglio che lui sia me, come se noi fossimo uniti, rinchiusi nel medesimo sacco di pelle, giacché il vestito non è altro che il liscio involucro di quella materia coalescente di cui il mio Immaginario amoroso è fatto”. La parola di questo capitolo è abito, che ha il compito di suscitare un ricordo o un’emozione tramite la ricordanza del vestito indossato dal soggetto in occasione dell’incontro amoroso per sedurre l’amato. Socrate si era preparato per andare a cena a casa di Agatone, invitato a celebrare una vittoria. A chi non è mai capitato di vestirsi bene per un’occasione importante, come un appuntamento con la persona che ci piace? L’atto di curare la propria immagine è istintiva poiché si tende ad “entrare nell’occhio” di colui che ci piace e se si riesce nell’impresa, il fatto di vestirsi bene diverrà un’azione automatica.

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I Karamazov e l’imperativo della coscienza

di Giorgia Calabrese

   Nella premessa a I fratelli Karamazov, Dostoevskij chiama Aleksej Fedorovic Karamazov il suo eroe. Tuttavia egli non spiega il motivo di questo appellativo, lasciando a chi legge il compito di scoprirlo. E infatti, raccontando le vicende della famiglia Karamazov, l’autore scatena nella mente del lettore una moltitudine di domande, alle quali il lettore stesso, attraverso il suo spirito critico, dovrà offrire una risposta. Tutto si incentra sull’animo umano che Dostoevskij penetra in profondità, evidenziando aspetti del carattere dei suoi personaggi talvolta opposti, ma tuttavia racchiusi dentro una stessa anima.

   Questo grande romanzo si sviluppa attorno ad un diverbio tra il padre Fedor Pavlovic Karamazov e il figlio maggiore, Dimitrij, che si scontrano a causa di una misteriosa eredità e una donna desiderata ardentemente da entrambi, Grusenka. Senza dilungarsi troppo, bisogna dire brevemente quale sia la storia di questo padre e il modo in cui si è originata questa “emblematica” famiglia.

   Fedor Pavlovic ha avuto due matrimoni, dal primo è nato il figlio Dimitrij, dal secondo Ivan ed Aleksej. Rimasto poi vedovo, durante una delle sue serate all’insegna del bere, ha dato vita ad un quarto figlio, mai riconosciuto come suo, Smerdjakov, la cui madre Lizaveta era conosciuta per essere un’analfabeta, abituata a dormire nei giardini altrui. Egli non si è preso cura di nessuno di questi, arrivando quasi a dimenticarsi della loro esistenza e continuando la sua vita da cinico lussurioso fintanto che, nella piccola cittadina in cui abitava, non si riuniscono tutti i protagonisti del romanzo.

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Immanuel Kant e la filosofia 2.0

   Una nuova concezione della conoscenza

di Camilla Rodella

   La Critica della Ragion pura, opera di Immanuel Kant pubblicata inizialmente nel 1781 e ripubblicata in una seconda edizione nel 1787, è giudicata come una tra le opere più complesse della filosofia occidentale.

   Qual era, però, lo scopo di Kant? Con il termine Critica, Kant intende ogni tipo di interrogativo circa il fondamento di determinate esperienze della conoscenza umana. Ma le sue domande a proposito della conoscenza non hanno niente a che vedere con le opere e riflessioni dei filosofi a lui antecedenti: Kant, infatti, vuole analizzare la conoscenza in modo “trascendentale” (termine essenziale per l’opera), ossia vuole capire cosa la rende possibile, come essa avviene e quali sono i suoi limiti.

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