Jane si era presa un gatto

di Rebecca Giusti

Jane si era presa un gatto. Era carino, un po’ anaffettivo ma sorrideva come un umano: inclinava il muso e mostrava i denti come un diavoletto.

Jane credeva che così si sarebbe sentita meno banale. Solo dopo essere arrivata al gattile in uno spoglio quartiere autunnale (era estate, ma quel quartiere aveva un’aria perenne di ottobre dentro di sé), si era accorta che tutti i suoi conoscenti avevano un gatto. Jane si era sentita ancora più banale. Banale perché aveva pensato di poterlo non essere agendo come tutti gli altri, sguazzando e muovendosi scomposta per uscire dalla folla per finire ad ondeggiare e crogiolarsi soddisfatta nella banalità, pensando di essere arrivata sulla sponda dell’isola giusta, che finalmente l’avrebbe staccata da quella uniformità fluida: un posto sicuro a cui tutti sembravano aspirare, non vedevano l’ora di naufragare per raggiungere quel posto deserto, irreale e troppo sfuocato per accogliere anche più di una persona.

Lei aveva un gatto, quindi ormai erano in due. Il gatto e Jane non potevano arrivare entrambi sull’isola, perché se già lei stessa era troppa per quel luogo, addirittura portare il diavolo sorridente era impensabile. Jane pensava che chi non si sentiva banale perché stava con un qualcosa che non lo era, era l’apoteosi di quello che lei rifuggiva affannata.                           Leggi tutto “Jane si era presa un gatto”

Tanto pe’ scrive, cento anni di Nino Manfredi

di Alessandro Rosati

Questo è un articolo scritto tanto pe’ scrive, insomma pe’ fa quarchecosa. Un po’ come tanti del resto. Capita di mettersi seduto alla scrivania, digitare velocemente sulla tastiera e d’improvviso sentire quell’impulso immediato e inarrestabile di voler dare un senso a quel fiume di parole che scorre impetuoso in testa. In mente, un motivo simpatico e orecchiabile. Recita più o meno così: “Tanto pe’ cantà, perché me sento un friccico ner core…”.

È una celebre canzone di Nino Manfredi (anche se originariamente fu composta dall’inarrivabile Ettore Petrolini), che ne fece un suo cavallo di battaglia, sempre che ne avesse bisogno. Perché, diciamocelo, Manfredi non ha forse la stessa gloria di altri attori del secolo scorso, eppure è stato eccezionale quanto e più di loro.

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Parliamone, non dimentichiamo

Di Sara Caliolo e Silvia Picchi

Conosciamo la mafia per conoscere il nemico (e per combatterlo meglio) 

Oggi, 21 marzo, è la Giornata Nazionale della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie e ci sembrava giusto ritagliare pochi istanti della giornata di ognuno dei nostri lettori, per riflettere su questo tema così importante per la nostra società.

Mafia: a volte la vediamo rappresentata sullo schermo nelle vesti di personaggi potenti, talvolta persino affascinanti, come nel caso del misterioso Thomas Shelby in Peaky Blinders  o della spietata Regina di Palermo in Rosy Abate; ogni tanto vediamo il suo lato oscuro in film biografici come ne I cento passi; altre volte è solo un nome che sentiamo nominare di sfuggita al telegiornale, a proposito di particolari commemorazioni o di processi contro boss mafiosi appartenenti alle più note “Cosa Nostra” (siciliana), “Camorra” (campana), “‘Ndrangheta” (calabrese) o “Sacra corona unita” (pugliese). Spesso è soltanto una sensazione, una presenza misteriosa che soffoca silenziosamente alcune nostre libertà, ma senza farsi vedere alla luce del sole.

 

Ma cosa è DAVVERO la mafia?

 

Alcuni la definiscono semplicemente un’organizzazione criminale basata sulla violenza; in realtà, però, è molto di più…

Si tratta di una scelta di vita definitiva per gli iniziati, di una società nascosta con le proprie regole, i propri ideali, i propri punti di forza e… i propri (tragici) lati oscuri; è una sorta di organismo basato su un principio fondamentale: la legge dell’omertà e dell’assoluta segretezza.

I suoi valori sono tipicamente maschili (parliamo di coraggio, rispetto e freddezza), ma, a causa della frequente assenza dei mariti, a trasmetterli sono le mogli, che così assumono un ruolo importante, ma spesso sottovalutato. Sono le donne, infatti, che, dopo un matrimonio combinato, educano i figli secondo le idee del clan, facendoli diventare ottimi uomini d’onore.


Perché oggi parliamo di mafia?

 

Perché nelle sue mani si concentra molto potere, potere criminale: estorsioni, rapine, contrabbando, traffici illeciti (di armi, uomini, droga), prostituzione, gioco d’azzardo… sono solo alcune delle attività alla base del fenomeno mafioso. Bisogna poi considerare le situazioni in cui agisce sistematicamente insieme ad altre istituzioni, instaurando legami con la politica e l’economia, esercitando controllo e protezione sulle attività di un territorio.

 

Parliamo ora della mafia in tempi di Covid-19.

Cosa è cambiato nell’ultimo anno, durante questo periodo di emergenza sanitaria?

 

Tutto, diremmo probabilmente. Ma, in realtà, per la mafia non è cambiato quasi niente. Infatti, mentre l’Europa (e, più in generale, il mondo intero) ha dovuto imparare a gestire una pandemia senza precedenti, il sistema mafioso non ha aspettato ad organizzarsi, non ha voluto farsi cogliere impreparato e oggi approfitta della confusione generale per muoversi più velocemente, prevedendo le mosse dello Stato e intervenendo laddove questo non garantisce più il supporto necessario ai cittadini.

Nel 2020, in tempi di lockdown totale, si è verificato un calo delle attività criminali di primo livello (traffico di droga, estorsioni, rapine ecc.), ma un notevole aumento dei casi di riciclaggio di denaro (operazione per rendere apparentemente lecita la provenienza, in realtà illecita, di capitali) al Nord e al Centro Italia e di corruzione al Sud. Inoltre, con la Covid Economy (l’economia generata e agevolata dalla pandemia), le grandi aziende come Amazon e Apple, offrendo un supporto tecnologico fondamentale alla nostra quotidianità, sono cresciute esponenzialmente; la stessa cosa, sfortunatamente, non è accaduta al settore del commercio né a quello del turismo che, trovandosi in crisi, hanno catturato l’attenzione delle mafie, sempre pronte ad intervenire per “aiutare”.

 
L’emergenza sanitaria ha contribuito in modo positivo ad accelerare lo studio dei virus e la ricerca sui vaccini, ma, allo stesso tempo, ha oscurato gli altri problemi del nostro Paese, occupando tutti i titoli dei telegiornali: in questo modo, le organizzazioni mafiose hanno agito con più tranquillità e il silenzio alla base del codice mafioso è diventato, almeno per un po’, un silenzio generale.


Cosa potremmo fare noi?

 

Informarci e informare, rendere la mafia un argomento di discussione e non più un tabù: svestirla del suo mantello di omertà e segretezza e condannarla. Sfortunatamente questo problema, se tralasciato per dare attenzione a uno che sembra più grande, non scompare da solo, ma si fortifica. Bisognerebbe impegnarsi per dare una seconda possibilità di scelta a tutti coloro che, per le tendenze criminali della famiglia o per difficoltà economica, si sentono costretti a cadere nella profonda buca della Mafia.

 


Infine, dopo avervi proposto questa personale riflessione, lasciamo di seguito un estratto del lavoro, frutto del progetto Donne e mafia che, a causa della situazione sanitaria, non è stato possibile concludere nell’anno scolastico precedente. Si tratta di un breve testo narrativo, in cui abbiamo provato a metterci nei panni di una bambina cresciuta in una realtà difficile, anche se, purtroppo, non del tutto rara. 

Il racconto è volutamente scritto in un linguaggio semplice e vivace, per rappresentare la purezza e l’ingenuità della protagonista, e in una forma breve e compatta, per soddisfare l’idea iniziale di portarlo sulla scena in una rappresentazione teatrale.

A tal proposito, cogliamo l’occasione per ringraziare la prof.ssa Isabella Borella, referente del progetto per il quale il testo era destinato, che ci ha dato l’opportunità di approfondire questa tematica e di rappresentarla, alla fine del nostro percorso insieme all’associazione Libera, attraverso la nostra creatività.

 

Caro diario… 

 

Questa notte papà è tornato tardi a casa e, quando l’ho sentito entrare in camera per salutarci, ho notato un oggetto strano fra le sue mani. Ho chiuso gli occhi mentre si chinava per darmi la buonanotte ma, mentre mi sistemava le coperte, qualcosa è caduto a terra e non ho potuto fare a meno di aprirli: era un oggetto molto simile a quelle armi con cui io e i miei fratelli giochiamo ogni giorno nel giardino dietro casa, il suo, però, è sicuramente più bello ed è anche di un altro materiale… perché ha fatto un rumore tremendo! In tutto questo, comunque, papà ha fatto finta di niente, l’ha rimesso in tasca ed è uscito dalla cameretta. 

Domani devo assolutamente raccontare tutto ai miei fratelli e alla mia amica del cuore!                                                                                                                    Anche la mamma era sveglia a quell’ora: l’ho sentita alzarsi per raggiungere papà.

Ho cercato di addormentarmi, ma la sua voce, stanca e preoccupata, arrivava al piano di sopra. Non è la prima volta che succede, anzi litigano spesso per questo: la mamma dice che dovrebbe smettere di fare quel lavoro perché lei non vuole più avere a che fare con certe persone, ma lui non può. Ha paura di smettere: lo fa per noi e non sa quali potrebbero essere le conseguenze.

Il suo compito è quello di proteggerci, perché mai dovrebbe smettere di farlo?

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Oggi, a scuola, la maestra ci ha fatto leggere un articolo di giornale su un brutto fatto accaduto qualche giorno fa in paese. Ha detto che sono intervenuti persino gli uomini che lavorano per aiutarci. “Loro sono i nostri eroi” ha aggiunto, alla fine. In quel momento avrei voluto solo alzare la mano e dire che in realtà si sbagliano tutti.

I veri eroi non sono quelli che agiscono di nascosto e proteggono la famiglia in silenzio perché non hanno bisogno di raccontarlo a tutto il mondo? I veri eroi combattono i cattivi dalla divisa blu e con la valigetta sempre in mano. I veri eroi sono quelli come papà: con delle regole da rispettare e delle missioni da compiere.        

                                                                                               –

Nel pomeriggio è successo qualcosa di molto strano: stavo giocando a nascondino nella grande piazza del paese con i miei fratelli e mi sono nascosta in uno dei vicoli stretti, come faccio ogni volta per vincere. È il posto perfetto per sconfiggere sempre i miei fratelli e non contare mai! 

Mentre osservavo le signore chiacchierare, ho visto un gruppo di uomini che camminava verso il garage di una palazzina e fra tutti questi c’era proprio papà: indossava il suo solito cappello bianco e teneva tra le dita la sua immancabile sigaretta. Incuriosita dalla sua presenza, sono uscita dal mio nascondiglio, ma quando sono arrivata davanti all’edificio, avevano già abbassato la serranda quasi del tutto. Così mi sono chinata per sbirciare un po’ e ho visto un grande tavolo ricoperto di oggetti, tutti uguali a quello che era caduto l’altra sera. Poi, all’improvviso, una persona del gruppo ne ha preso uno in mano e l’ha puntato verso papà, che stava cercando di spiegare qualcosa. L’uomo ha premuto il pulsante e io ho chiuso gli occhi per lo spavento. Il forte rumore ha attirato l’attenzione dei miei fratelli, che mi hanno trovata subito. Io sono rimasta immobile e mi sono decisa a guardare solo qualche secondo dopo, quando mi hanno raggiunto: papà era ancora in piedi, ma ora stava in silenzio con lo sguardo basso e annuiva. Tutti erano intorno a lui con aria soddisfatta. 

A cena i miei fratelli mi hanno preso in giro perché ho perso a nascondino e dovrò fare qualcosa per loro.

Forse anche papà oggi ha perso a qualche gioco? Spero che almeno a lui non tocchi nessuna penitenza.

                                                       

Smarrimento e libertà

di Martina Pasquinelli

 

“Che sarà, che sarà, che sarà

Che sarà della mia vita chi lo sa?

So far tutto o forse niente

Da domani si vedrà

E sarà, sarà quel che sarà!”

 

È il ritornello di una canzone di José Feliciano, cantata anche dai “Ricchi e poveri”. Mi è capitato di ascoltarlo in serata ed a distanza di ore sto ancora pensando a quel “so far tutto o forse niente” preceduto da una domanda esistenziale.

In questo ritornello ci ho letto i 18 anni, l’adolescenza, la classica “allora hai deciso l’università?”, che puntualmente capita in ogni conversazione; c’ho visto la spavalderia di un giovane ragazzo cresciuto sentendosi dire che se si applica è in grado di fare qualsiasi cosa. Tuttavia, so di poterci ritrovare anche la messa in discussione di quelle affermazioni, che inevitabilmente arriva…che sia per un brutto voto preso a scuola, per un obiettivo che risulta più faticoso raggiungere, oppure per una relazione o un’amicizia finite dopo tanti sacrifici. Il tempo passa e ognuno si accorge dei propri limiti. L’adolescenza è una corsa. L’età in cui il tempo sembra accelerare. Si fanno più gioiosi i sorrisi e più pesanti i pianti. Tutto viene colto al massimo del suo stato. L’umore alterna continuamente. Ci si sente ancora i piccoli della società, “quelli che hanno tutta una vita davanti” e un attimo dopo sentiamo la pressione di un capofamiglia, siamo nel momento in cui dobbiamo diventare maturi, dobbiamo scegliere la strada che vorremo per la vita.

Cosa vuole la società? Cosa vuole l’individuo? Leggi tutto “Smarrimento e libertà”