La scuola e l’insegnamento: sapere non è imparare, ma crescere

di Irene Stefanini

   Fondamento della società e specchio della cultura di un popolo, la scuola rappresenta il primo passo, e per questo forse il più importante, per le sorti future della popolazione non solo di tale Stato, ma anche mondiale. Ogni paese imposta i programmi e l’organizzazione scolastica come reputa più giusto, e questo porta ad avere molte differenze da uno Stato all’altro: spesso queste riflettono sia l’impostazione e l’inquadramento politico del governo in carica sia la cultura del popolo. Le differenze non impediscono però alle nuove generazioni di studenti “cittadini del mondo” di frequentare scuole in altri Stati e fare un percorso di studio attraverso varie nazioni. Negli ultimi anni sono state molto incrementate ed incoraggiate le iniziative finalizzate a creare scambio e relazionare studenti da tutte le parti del globo: Erasmus, gite estere, gemellaggi, collaborazioni universitarie ed altre ancora sono iniziative che spingono gli studenti a spostarsi e entrare in contatto con le scuole estere.

   Le differenze però ci sono e per quanto si cerchino di ignorare, si vedono.

   La scuola italiana, ritenuta fino a qualche tempo fa uno dei migliori modelli scolastici, si basa fin dalle elementari sull’insegnamento delle conoscenze, piuttosto che sullo sviluppo delle conoscenze e delle capacità: in qualche modo si potrebbe dire che gli studenti imparano, ma che spesso non capiscono. Colpa forse è dei maestri e professori, dei programmi o del retaggio culturale, o di chicchessia, fatto sta che il rapporto scuola-studente non è un rapporto di conoscenza e rielaborazione dei concetti, ma di semplice apprendimento di questi.

   Un esempio pratico ma lampante di questo si ha con la matematica e la fisica: queste due materie si basano principalmente sul ragionamento e non sullo studio “a pappagallo” ed infatti il numero di studenti che riscontrano difficoltà con queste due materie è molto maggiore rispetto alle altre; solitamente chi è portato per queste scienze viene visto dai compagni come il genio o il secchione, anche se egli è semplicemente una persona che ha più sviluppato quel tipo di intelligenza.

   Esistono infatti diversi tipi di intelligenze: naturalistica, musicale, logico-matematica, esistenziale, interpersonale, corporeo-cinestetica, linguistica, intrapersonale, spaziale. Prestando attenzione a queste si può notare come ci sia un collegamento diretto tra questi tipi di intelligenza e le materie scolastiche. Quindi il problema non sta nel “cosa”, ma nel “come” si studia. Soprattutto andando avanti con gli studi ci si imbatte sempre più in materie considerate di serie A e di serie B, mentre è ingiusto classificare le materie perché così facendo si finisce per etichettare anche le persone stesse in base alle loro predisposizioni; inoltre si tende ad esaltare quelle materie e facoltà basate sulla conoscenza e sullo studio in quanto tale, degradando e sminuendo quelle più pratiche e materiali.

   Questa mentalità, portata avanti dalle vecchie generazioni ed insegnata alle nuove, ha fatto sì che negli ultimi decenni i più volenterosi e determinati fossero proiettati verso lavori più concettuali, “moderni”, mentre coloro più svogliati o apparentemente meno dotati venissero indirizzati verso scuole più pratiche e che prevedono un percorso di studi più corto, determinando di conseguenza la svalutazione di alcune scuole e facoltà a vantaggio di altre. Pensando però al futuro, al mondo lavorativo questo ha portato ad una richiesta di competenze sempre maggiori, ad una specializzazione sempre più approfondita per ottenere anche un semplice impiego, abbandonando però tutti quei lavori manuali e pratici che sono stati svalutati e giudicati come umili e degradanti, nonostante la domanda di questi sia sempre presente se non in aumento.

   Si ricordi: meglio un bravo idraulico che un medico mediocre. Non si dovrebbe avere paura o vergogna ad essere bravo con le macchine e voler fare il meccanico, ad avere il pollice verde e voler lavorare in un orto o in un’azienda agricola come non ci si dovrebbe sentire obbligati ad andare a Medicina o a Legge solo perché si è degli studenti molto validi, a studiare fino alla vecchiaia anche se vorremmo altro: ogni individuo ha le sue caratteristiche, peculiarità, intelligenze e nessuna persona è meglio di un’altra. La vita è unica e singola perciò dovrebbe essere vissuta facendo quello che più ci piace o ci riesce senza che venga giudicata o condizionata. La scuola dovrebbe insegnare a vivere ed a essere dei buoni cittadini e questo significa anche accettarsi con le differenze che ci distinguono e lasciare che ognuno sviluppi le sue capacità, anche in autonomia, perché in fondo lo dice anche il detto famoso: “Sbagliando si impara”. Aggiungerei che, avendo sempre un appoggio o un aiuto, non si impara a fare da soli e perciò ci vorrebbe, da parte degli adulti verso i giovani, più fiducia nella loro indipendenza, nella scoperta di loro stessi e nello sviluppo delle loro intelligenze e capacità.

L’Italia pazza e geniale di Euro 2000

di Alessandro Rosati

   Correva l’anno 2000, in radio impazzava Ops I did it again di Britney Spears e l’Italia era in corsa per la finale dei primi Europei del nuovo millennio. Il 29 Giugno l’Amsterdam Arena è un pallino arancione in mezzo alla capitale Olandese: i quasi 55mila posti dell’attuale Johann Cruijff Arena sono occupati quasi completamente da sostenitori degli Orange, che immaginano già Berkgamp e compagni contendersi il titolo in finale con la Francia.

   Dopo 34 minuti Zambrotta viene espulso per doppia ammonizione: gli Azzurri sono già in 10 uomini. Per l’Olanda la strada è in discesa, forse. Eppure quel giorno quella compagine col tricolore cucito sul petto decise di incidere i propri nomi nella leggenda.

Sarà un tiro al bersaglio verso la porta difesa dall’Italiano Toldo, ma il numero 12 della Nazionale abbasserà la saracinesca cosicché Maldini e Cannavaro non dovessero mai raccogliere il pallone in fondo alla rete.

   È la serata di Francesco Toldo, ai posteri la leggenda della semifinale di Euro 2000.

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Questo selvaggio non è poi così buono

Uno scontro cruento tra razionalità e istinto

di Matteo Pierini

   Scritto nel 1952 da William Golding, Il signore delle mosche racchiude nella sua essenza gli eventi più significativi vissuti dall’autore inglese e viene considerato uno dei racconti più avvincenti sotto il profilo psicologico.

   Nonostante il suo enorme successo, che permise al suo autore di conseguire la stabilità economica, e pur essendo divenuto un best seller tra i giovani universitari, non fu semplice pubblicarlo, perché non convinse molto le case editrici inglesi e ben ventuno editori rifiutarono la sua pubblicazione. Solo dopo due anni di tentativi, nel 1954, la casa editrice Faber and Faber riesaminò l’elaborato e T.S. Eliot formulò il titolo del romanzo affinché risultasse una metafora per ricordare la malvagità di Satana.

   Fin da bambino, Golding aveva sviluppato una forte vocazione religiosa, al punto da trasferirsi in una colonia cristiana inglese dove svolse l’attività d’insegnante in una scuola elementare. Successivamente venne chiamato ad arruolarsi nell’esercito durante la Seconda Guerra Mondiale; arruolato in Marina, faticò ad adeguarsi agli ordini impartiti dai superiori.

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I moti di Stonewall, 51 anni dopo

di Nello Benassi

   Giugno si colora di arcobaleno, anche se quest’anno in maniera virtuale, in occasione del “pride month”, letteralmente “il mese dell’orgoglio”. Ma di che orgoglio stiamo parlando?

   Per capirlo dobbiamo riavvolgere il nastro alla notte tra il 27 e il 28 giugno 1969. Ci troviamo a New York, più precisamente in un piccolo locale di Cristopher Street: lo Stonewall Inn. Un punto di riferimento per tutti i gay della Grande Mela.

   Le retate da parte della polizia non erano una novità. Spesso avvenivano a inizio serata e senza troppi effetti collaterali. Ma quella sera accadde qualcosa di diverso. Era circa l’una e mezza di notte quando otto poliziotti fecero irruzione nel locale e arrestarono non solo chi era sprovvisto di un documento di identità, ma anche coloro che indossavano vestiti del sesso opposto e i dipendenti del bar.

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