La scuola e l’insegnamento: sapere non è imparare, ma crescere4 min read

di Irene Stefanini

   Fondamento della società e specchio della cultura di un popolo, la scuola rappresenta il primo passo, e per questo forse il più importante, per le sorti future della popolazione non solo di tale Stato, ma anche mondiale. Ogni paese imposta i programmi e l’organizzazione scolastica come reputa più giusto, e questo porta ad avere molte differenze da uno Stato all’altro: spesso queste riflettono sia l’impostazione e l’inquadramento politico del governo in carica sia la cultura del popolo. Le differenze non impediscono però alle nuove generazioni di studenti “cittadini del mondo” di frequentare scuole in altri Stati e fare un percorso di studio attraverso varie nazioni. Negli ultimi anni sono state molto incrementate ed incoraggiate le iniziative finalizzate a creare scambio e relazionare studenti da tutte le parti del globo: Erasmus, gite estere, gemellaggi, collaborazioni universitarie ed altre ancora sono iniziative che spingono gli studenti a spostarsi e entrare in contatto con le scuole estere.

   Le differenze però ci sono e per quanto si cerchino di ignorare, si vedono.

   La scuola italiana, ritenuta fino a qualche tempo fa uno dei migliori modelli scolastici, si basa fin dalle elementari sull’insegnamento delle conoscenze, piuttosto che sullo sviluppo delle conoscenze e delle capacità: in qualche modo si potrebbe dire che gli studenti imparano, ma che spesso non capiscono. Colpa forse è dei maestri e professori, dei programmi o del retaggio culturale, o di chicchessia, fatto sta che il rapporto scuola-studente non è un rapporto di conoscenza e rielaborazione dei concetti, ma di semplice apprendimento di questi.

   Un esempio pratico ma lampante di questo si ha con la matematica e la fisica: queste due materie si basano principalmente sul ragionamento e non sullo studio “a pappagallo” ed infatti il numero di studenti che riscontrano difficoltà con queste due materie è molto maggiore rispetto alle altre; solitamente chi è portato per queste scienze viene visto dai compagni come il genio o il secchione, anche se egli è semplicemente una persona che ha più sviluppato quel tipo di intelligenza.

   Esistono infatti diversi tipi di intelligenze: naturalistica, musicale, logico-matematica, esistenziale, interpersonale, corporeo-cinestetica, linguistica, intrapersonale, spaziale. Prestando attenzione a queste si può notare come ci sia un collegamento diretto tra questi tipi di intelligenza e le materie scolastiche. Quindi il problema non sta nel “cosa”, ma nel “come” si studia. Soprattutto andando avanti con gli studi ci si imbatte sempre più in materie considerate di serie A e di serie B, mentre è ingiusto classificare le materie perché così facendo si finisce per etichettare anche le persone stesse in base alle loro predisposizioni; inoltre si tende ad esaltare quelle materie e facoltà basate sulla conoscenza e sullo studio in quanto tale, degradando e sminuendo quelle più pratiche e materiali.

   Questa mentalità, portata avanti dalle vecchie generazioni ed insegnata alle nuove, ha fatto sì che negli ultimi decenni i più volenterosi e determinati fossero proiettati verso lavori più concettuali, “moderni”, mentre coloro più svogliati o apparentemente meno dotati venissero indirizzati verso scuole più pratiche e che prevedono un percorso di studi più corto, determinando di conseguenza la svalutazione di alcune scuole e facoltà a vantaggio di altre. Pensando però al futuro, al mondo lavorativo questo ha portato ad una richiesta di competenze sempre maggiori, ad una specializzazione sempre più approfondita per ottenere anche un semplice impiego, abbandonando però tutti quei lavori manuali e pratici che sono stati svalutati e giudicati come umili e degradanti, nonostante la domanda di questi sia sempre presente se non in aumento.

   Si ricordi: meglio un bravo idraulico che un medico mediocre. Non si dovrebbe avere paura o vergogna ad essere bravo con le macchine e voler fare il meccanico, ad avere il pollice verde e voler lavorare in un orto o in un’azienda agricola come non ci si dovrebbe sentire obbligati ad andare a Medicina o a Legge solo perché si è degli studenti molto validi, a studiare fino alla vecchiaia anche se vorremmo altro: ogni individuo ha le sue caratteristiche, peculiarità, intelligenze e nessuna persona è meglio di un’altra. La vita è unica e singola perciò dovrebbe essere vissuta facendo quello che più ci piace o ci riesce senza che venga giudicata o condizionata. La scuola dovrebbe insegnare a vivere ed a essere dei buoni cittadini e questo significa anche accettarsi con le differenze che ci distinguono e lasciare che ognuno sviluppi le sue capacità, anche in autonomia, perché in fondo lo dice anche il detto famoso: “Sbagliando si impara”. Aggiungerei che, avendo sempre un appoggio o un aiuto, non si impara a fare da soli e perciò ci vorrebbe, da parte degli adulti verso i giovani, più fiducia nella loro indipendenza, nella scoperta di loro stessi e nello sviluppo delle loro intelligenze e capacità.

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