Immanuel Kant e la filosofia 2.06 min read

   Una nuova concezione della conoscenza

di Camilla Rodella

   La Critica della Ragion pura, opera di Immanuel Kant pubblicata inizialmente nel 1781 e ripubblicata in una seconda edizione nel 1787, è giudicata come una tra le opere più complesse della filosofia occidentale.

   Qual era, però, lo scopo di Kant? Con il termine Critica, Kant intende ogni tipo di interrogativo circa il fondamento di determinate esperienze della conoscenza umana. Ma le sue domande a proposito della conoscenza non hanno niente a che vedere con le opere e riflessioni dei filosofi a lui antecedenti: Kant, infatti, vuole analizzare la conoscenza in modo “trascendentale” (termine essenziale per l’opera), ossia vuole capire cosa la rende possibile, come essa avviene e quali sono i suoi limiti.

   L’opera è suddivisa in dottrina trascendentale degli elementi, composta da estetica trascendentale e logica trascendentale, a sua volta suddivisa in analitica trascendentale e dialettica trascendentale, e in dottrina trascendentale del metodo.

   Leggere la Critica della Ragion pura è stato un lavoraccio: per riuscire ad ultimarne la lettura ho impiegato tre mesi. Spesso mi bloccavo su una pagina, non ne capivo il collegamento o, più semplicemente, mi perdevo nei miei pensieri e così facendo non trovavo più un nesso logico. Nonostante la difficoltà, però, mi sono sentita soddisfatta e mirabilmente sorpresa di essere riuscita a sconfiggere un “mostro” del genere tutta da sola.

   Nell’introduzione della Critica Kant divide la conoscenza in conoscenza posteriori e in conoscenza a priori. La prima deriva dall’esperienza, la seconda no. In più la conoscenza a priori si suddivide in pura e non pura: è pura quando non ha nulla di empirico, non pura quando i termini utilizzati sono ricavati dall’esperienza.

   Kant divide anche i giudizi in due tipi: analitici e sintetici. Quelli analitici, con il loro predicato non aggiungono nulla al soggetto, ma si limitano ad esplicitarlo, per questo sono definiti anche esplicativi. Sono giudizi a priori, in quanto universali e necessari. Quelli sintetici con il loro predicato aggiungono qualcosa al soggetto, per questo sono detti anche estensivi. Sono a posteriori, poiché l’esperienza è necessaria.

   Kant fa, però, una riflessione. I giudizi della scienza, da lui definiti sperimentali, devono necessariamente essere sintetici a priori, perché il loro predicato aggiunge qualcosa al soggetto, ma l’esperienza non è necessaria. “Le proposizioni propriamente matematiche sono sempre giudizi a priori, e non empirici, perché portano seco quella necessità, che dall’esperienza non si può ricavare”. Già dall’introduzione si può, perciò, notare l’innovazione nella filosofia kantiana: empirismo e razionalismo si fondono insieme.

   Nell’Estetica (scienza della sensibilità) trascendentale Kant si interroga su come siano per noi possibili le percezioni. Gli oggetti ci sono dati grazie alla sensibilità, la quale ci fornisce intuizioni, che vengono pensate dall’intelletto, da cui derivano i concetti. “L’oggetto indeterminato di una intuizione empirica si dice fenomeno”. La conoscenza è, per Kant, unione tra materia e forma del fenomeno. La materia corrisponde alle sensazioni, la forma è il modo in cui il nostro intelletto analizza le sensazioni ricevute (in pratica: empirismo + razionalismo). Inoltre ci sono due intuizioni pure a priori, che ci permettono di percepire i fenomeni: lo spazio e il tempo. Lo spazio è l’organo del senso esterno, il tempo quello del senso interno.

   Nella Logica trascendentale Kant si domanda in che modo vengano ordinati i fenomeni. Dopo aver appurato che la conoscenza deriva dall’unione tra intuizione e concetti, perché “l’intelletto non può intuire nulla, né i sensi nulla pensare. La conoscenza non può scaturire se non dalla loro unione”. La logica trascendentale è “la scienza che determina l’origine, l’estensione e la validità aggettiva di tali conoscenze”, e riguarda, perciò, le leggi dell’intelletto e della ragione, riferendosi ad oggetti a priori. Quindi Kant divide la logica trascendentale in analitica trascendentale e dialettica trascendentale. La prima espone gli elementi della conoscenza pura dell’intelletto e i principi senza i quali nessuno oggetto può essere pensato. La seconda critica la dimostrabilità di principi formali dell’intelletto puro.

    Nell’Analitica trascendentale Kant cataloga i giudizi in quattro tipi di categorie, ognuno dei quali si suddivide a sua volta in 3 sottocategorie. La prima categoria è quella della quantità, suddivisa in giudizi universali, particolari e singolari; la seconda riguarda la qualità e si suddivide in giudizi affermativi, negativi e infiniti; la terza è la categoria di relazione, suddivisa in giudizi categorici, ipotetici, disgiuntivi; la quarta riguarda la modalità ed è suddivisa in giudizi problematici, assertori, apodittici. A differenza delle dieci categorie di Aristotele, per Kant non sono funzioni oggettive, ma intellettuali, le quali rendono possibile la catalogazione dell’esperienza e della conoscenza intellettuale.

   Ma cosa ci permette di pensare? Per Kant il pensiero è possibile grazie all’Io penso o appercezione trascendentale: grazie ad esso riconduciamo alla stessa unità auto-cosciente una pluralità di rappresentazioni, unificando il molteplice dell’intuizione spazio-temporale: “L’unità trascendentale dell’appercezione è quella, per la quale tutto il molteplice dato da un’intuizione è unito in un concetto dell’oggetto”. L’Io penso è il fulcro della Rivoluzione Copernicana di Kant. Egli dimostra, infatti, che al centro del pensiero conoscitivo c’è il soggetto, che lo condiziona e lo rende possibile con le sue strutture conoscitive.

   Non mi sentirei del tutto sincera se non vi svelassi che, durante la lettura della logica e dell’analitica, il libro sia rimasto per un po’ a prendere la polvere sulla scrivania. Ogni tanto io e lui ci sfidavamo a chi distoglie prima lo sguardo, ma vinceva sempre lui, io non riuscivo a reggere tale prova. Ebbene sì, ho perso una gara di sguardi con un libro. Poco male, come si suol dire “ha vinto una battaglia, non la guerra”.  Infatti piano piano ho ritrovato coraggio e, armata di evidenziatore e matita, ho affrontato e sconfitto il nemico. Ma adesso torniamo a noi.

   Nella Dialettica trascendentale Kant critica il tentativo degli uomini di spiegare razionalmente noumeni come l’anima, Dio, il mondo. Nella critica alla cosmologia Kant spiega che vigono due teorie opposte sull’ordinamento del mondo: è finito, è infinito. Entrambe partono da premesse indimostrabili, in quanto la loro dimostrazione è impossibile. Nella critica alla Psicologia razionale Kant afferma che tutte le teorie elaborate in passato sono errate, in quanto considerano l’anima come una sostanza. Per Kant essa coincide con la funzione dell’Io penso.

    Nella critica alla Teologia razionale Kant critica, tra le altre prove dell’esistenza di Dio, la prova ontologica di Anselmo/Cartesio: poiché l’esistenza è ricavabile solo a posteriori e non a priori, l’esperienza è necessaria.

   Kant esegue queste critiche per rappresentare e spiegare i limiti della nostra ragione: la ragione è, infatti, la facoltà metafisica, ma la metafisica non è scienza (come spiegato nell’introduzione dell’opera), perciò essa non può spiegare fenomeni esterni alla fisica. È importante per l’uomo conoscere, quindi, i limiti delle proprie possibilità conoscitive poiché, superati questi, “non è mai sicuro de’ suoi diritti del suo possesso, ma deve attendersi soltanto frequenti e umilianti richiami, quand’egli oltrepassi (com’è inevitabile) continuamente i confini del suo possedimento, e si smarrisca in illusioni e chimere”.

   La filosofia kantiana viene definita con Idealismo trascendentale, perché dimostra che un oggetto sussiste nelle forme in cui è presente un soggetto che lo pensa. In questo modo unisce all’empirismo il razionalismo: la filosofia 2.0 è nata.

  Immanuel Kant, Critica della Ragion Pura, trad. it, Bari, Laterza Editori (2005; prima ed. in lingua originale 1781; seconda edizione 1787).

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