Sei mia sorella

Lisabetta Raffaetà

La panchina su cui stiamo è fredda e scomoda, intorno a noi un materasso di foglie di platano sembra chiamarci a giocare come ormai i grandi non fanno più. Da piccole nel nostro giardino c’era un acero ed in autunno ti rincorrevo sul suo tappeto rosso. I tuoi piedini veloci e inquieti affondavano sulle foglie ormai secche e scricchiolanti sotto il tuo piccolo corpo. Io speravo che ti cedesse una caviglia, che cadessi sbucciandoti le ginocchia. Avevo quattro anni quando sei arrivata e ti sei presa tutto. Mamma, papà, l’altalena, le passeggiate con la nonna, tutto quello che prima era mio.  Sorrido, sono ricordi, ora sono solo lontani ricordi.

Mi giro, ti guardo seduta su questa panchina grigia, in un grigio giorno d’autunno ed anche il tuo volto è grigio, quasi livido direi. Sulle guance scavate dalla vita si incollano ciocche di capelli castani, sfibrati opachi, i tuoi meravigliosi occhi sembrano ora aver persino cambiato colore , non più verdi  ma plumbei , grigi come uno stagno profondo dove anneghi ogni giorno. I tuoi abiti odorano di sudore e tabacco stantio, non hai più voglia di lavarti, lei è tornata …l’angoscia, la morte, l’Alcol… Leggi tutto “Sei mia sorella”

Perché il giornale

 

di Abramo Matteoli*

Chi di noi riesce sempre a viver bene? Scossi dal verso contorto della voce interiore, appesantiti dall’aria stantia del quotidiano nervoso, redarguiti da desideri distanti e speranze tradite. Schiacciati, con incertezza di noi, nell’immensità del cosmo, dall’assurdo esistenziale del vero.

I giorni dell’umano pensante sono tortuose avventure di resilienza. Sono spietata ed incessabile guerra contro spaventosi avversari psicologici. Parassiti mentali della nostra quiete lontana.

Battaglie di questo genere le combattiamo in molti. Spesso rispettosi del silenzio imposto dal pudore della nostra interiorità. Ci accingiamo con forza a compiere il dovuto compito per il giorno che viene, rispettando gli appuntamenti e seguendo il copione. Sconfiggiamo la fastidiosa presenza dei sentimenti più forti, con l’inaugurazione del vuoto interiore e con l’indifferenza.

Le pulsioni che fastidiano il quieto scorrere dei nostri giorni si vedono affogate dal fortissimo clamore del nostro determinato trantran. Ci salviamo dall’affanno di noi stessi evitando di sentirlo. Se ho troppo da fare, non dovrò fronteggiare il dolore. Se ho troppo da fare, non ho tempo per altro. Se ho troppo da fare, non esiste nient’altro. Leggi tutto “Perché il giornale”

La chiave della speranza

 

di Lisabetta Raffaetà

A tutti gli uomini, donne e bambini detenuti ingiustamente in luoghi infernali.

Vent’anni sono uno spazio lungo da riempire, come un viaggio in una stanza chiusa dove non c’è mai giorno o notte ma solo sera, una sera che non finisce mai. E tu?

Tu sei seduto su una panca di fronte ad una parete e fuori la vita, un fiume in piena che scorre, non aspetta nessuno, ma tu rimani dove sei sempre stato.

Le hai provate tutte per andartene.  Ogni volta ti hanno ripreso.

Dopo ogni fuga o protesta è stato peggio: più isolamento, più costrizioni, più anni da scontare. I legami con l’esterno poi, dopo ogni fuga, si sono allentati fino a spezzarsi.

Oro esistono solo queste pareti e questi corridoi e non pensi più a fuggire, non sei interessato a quello che accade fuori. La libertà per te non esiste nemmeno come parola.

Ti lasci vivere qua dentro. Leggi tutto “La chiave della speranza”

Urlo

 

di  Lisabetta Raffaetà

Urlo

dove parola non c’è più

Urlo

a chi non vede oltre,

solo caos e resti di morte.

Urlo

col silenzio addosso forte.

Urlo

dove la speranza non ha volo

dove i venti sono solo gelidi

dove i bimbi non hanno canti,

dove i paesi sono solo rovine.

Urlo

a questo presente di solo dolore

Urlo

contro un mondo educato alla guerra,

contro un mondo genuflesso al potere.