A scuola di tolleranza4 min read

di Marco Ciucci

   La Lettera sulla tolleranza viene scritta da Locke nel 1685, periodo in cui il filosofo inglese stava soggiornando in Olanda, ed è indirizzata ad un suo amico, di cui non rivela l’identità, ma che è conosciuto come Honored Sir. In questa lettera Locke tratta alcune tematiche particolarmente attuali, in particolare quella della tolleranza, più specificatamente in ambito religioso: il testo è pieno di riflessioni e monologhi del filosofo, le sue opinioni vengono sempre argomentate con esempi che contribuiscono in modo efficace a renderle convincenti.

   Locke sfrutta gli avvenimenti di quel periodo, ad esempio l’editto di Fontainbleau per denunciare la piega presa dalla Chiesa, in particolare quella Cattolica, per promuovere quei principi che saranno tipici del pensiero illuminista, quindi l’utilizzo della ragione, e per criticare la piega presa dai governatori degli stati cattolici di quel secolo, i quali spesso imponevano la propria religione con la forza. Il filosofo, prima di esporre le proprie opinioni riguardo a questa situazione, spiega cosa sono, a parer suo, la Chiesa e lo Stato: definisce la prima una società libera e volontaria di uomini che si uniscono per adorare pubblicamente il Dio in cui credono, col fine di salvare le proprie anime,  il secondo è sempre una società composta da uomini, ma è costituita unicamente al fine della conservazione dei beni civili, quindi vita, libertà, integrità fisica, proprietà di oggetti esterni, come terreno, denaro, mobili ecc.

   Locke spiega che nessuno, anche volendo, può credere in base ad una prescrizione altrui, perciò non solo è insensato imporre forzatamente una religione, ma pensandoci bene Dio stesso non ha attribuito a nessuno l’autorità di imporre una credenza. Pertanto Locke afferma che “la forma estrema e definitiva di forza di cui la Chiesa dispone è la cessazione della relazione tra il corpo e il membro amputato”, quindi le autorità, ecclesiastiche e non, non hanno alcun diritto di usare la violenza come mezzo per propagare la loro credenza. L’autorità di qualsiasi figura ecclesiastica non può estendersi agli affari civili, conciliando questi due tipi di società si arriva a confondere la distinzione tra i ruoli che spettano allo Stato e quelli che spettano alla Chiesa.    

   L’intolleranza religiosa, nell’ottica di Locke, è qualcosa che si avvicina all’assurdità: il pensiero religioso, la credenza che si ritiene più adatta per proiettarsi verso la salvezza dell’animo, è qualcosa di estremamente soggettivo, e per quanto qualcuno possa essere convinto che le religioni altrui siano errate, non ha il diritto di “correggere” queste credenze imponendo la propria. Per argomentare questo concetto Locke dice che “nessuno corregge chi si rovina in osteria, nessuno si arrabbia se il vicino sbaglia a seminare i propri campi o a maritare la figlia”, perché sono cose che non riguardano loro. Non può esistere nessuna legge che imponga a un cittadino, per esempio, di curare la sua salute e di arricchirsi, non è compito di nessuna autorità: “Cristo insegnò la fede e i costumi con lo scopo che ognuno dovesse raggiungere la vita eterna, ma non prescrisse nessuna legge e non istituì nessuna società politica.” È ovvio che ogni Chiesa ritiene il proprio credo e il proprio culto come gli unici corretti, mentre quelli delle altre come errati, ed è per questo che in uno stato dovrebbero essere tollerate tutte le religioni esistenti e istituiti i rispettivi edifici per l’esercizio di queste.

   Tornando invece al concetto di proprietà privata, spesso chiamato in causa dal filosofo, Locke afferma che il potere legislativo è nato a causa della disonestà generale ed è finalizzato a tutelare i beni privati e le proprietà che però siano frutto di un faticoso lavoro e che non siano beni abbandonati; in quel caso è compito dello stato impossessarsene e redistribuirli per il bene comune.
 

Un altro concetto che compare nella lettera è quello di idolatria, allora ritenuto un grave peccato, in parte anche per Locke, che però afferma che pur essendo considerato peccato, non doveva giustificare alcun tipo di pena, infatti anche l’ozio e l’avarizia sono peccati, ma non si è mai visto nessuno che è stato punito per essere un avaro o per aver oziato, poiché nessuna di queste due cose reca danno alle proprietà altrui.

   Infine Locke spiega che chi non nega qualcosa che viene esplicitamente detto nelle sacre scritture e nei testi divini non può essere etichettato come eretico o scismatico, due peccati che, in quel periodo storico, venivano attribuiti nel modo sbagliato alle persone sbagliate.

   La lettura di questo testo mi hai coinvolto più di quanto immaginassi, in particolare per l’attualità dei concetti che vi sono espressi all’interno, tra cui quello di tolleranza religiosa e non, quello di bene comune o quello di pace, per l’agilità con cui il filosofo argomenta le proprie opinioni, spesso ipotizzando una controbattuta nei confronti delle sue affermazioni; ma soprattutto mi ha sorpreso la sua flessibilità mentale, considerando che la Lettera è stata scritta circa quattro secoli fa. Ci sono in particolare delle frasi che mi hanno colpito in positivo, per esempio questa: “la tolleranza verso coloro che hanno opinioni diverse in materia di religione è a tal punto consona al Vangelo e alla ragione, che appare una mostruosità che ci siano uomini ciechi, di fronte a una luce così chiara”.

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