Indro Montanelli, giornalista e scrittore: parte seconda

Domande e risposte.

Trascrizione a cura di Alessandro Rosati

Domanda: per quanto riguarda il rapporto tra vero, verosimile e giornalismo. Citando Montanelli lei ha detto “meglio raccontare la verità con aneddoti falsi”, ma la domanda sorge spontanea: così facendo non si esce dal campo del giornalismo?

Alberto Malvolti: Giustamente tu applichi al giornalismo una definizione classica, per cui il giornalismo è semplicemente un racconto distaccato e obiettivo dei fatti. Certamente questa operazione di introduzione di elementi narrativi nella scrittura giornalistica è un passo abbastanza audace da parte di Montanelli. Però funziona. Funziona perché nessuno dei soggetti raccontati da Montanelli, come personaggi, si è mai lamentato che la sua personalità era stata tradita dal racconto. La personalità è risultata vera anche se c’erano degli aneddoti “di colore”. Il verosimile è stato una verità, meglio di un realismo puro e semplice che non diceva molto del personaggio. Proviamo a fare una riflessione su tre termini: verità, vero e verosimile.

Se io dico “vero” intendo quello che è accaduto, un fatto vero. Se faccio un ritratto di una persona rendendola verosimile, posso sia “tradire” quella persona e raccontare il falso, sia raccontare una verità. Si può descrivere qualcosa con elementi che non fanno parte del “vero”, ma che attraverso il “verosimile” rendono un ritratto di “verità”.

La risposta che Montanelli ha dato ad Emilio Cecchi è la più eloquente per questa domanda: con tanti “pezzetti” di verità, a seconda di come sono disposti, si può costruire un ritratto completamente falso. Un po’ come un collage di pezzi di foto con cui puoi fornire un’immagine diversa. Un ritratto di un grande pittore invece può estrapolare di più da una persona, rispetto ad una fotografia con un sorriso stereotipato, fatto giusto per essere fotografati. Tirare fuori la verità richiede spesso e volentieri una buona dose di verosimile: il collage (di pezzetti di verità, ndr) da solo non è sufficiente, anzi a volte può servire per raccontare delle “mega” bugie. Tra l’altro non è un caso che Montanelli esprima questo concetto proprio a Cecchi, uomo di grande spessore che sapeva di avere la stessa linea di pensiero.

Domanda: Una domanda che probabilmente ha già affrontato: sotto tutti i punti di vista, cosa vuol dire essere un giornalista?

Alberto Malvolti: Probabilmente se lo chiedete a 10 giornalisti, avrete 10 risposte diverse. Tra l’altro quello che penso io ha anche poca importanza, perché io non sono un giornalista e non frequento redazioni di giornali. Sono abbastanza sprovveduto da questo punto di vista. Essere giornalista al tempo di Montanelli, nella sua concezione, era quella di essere un testimone: vedere e poi raccontare i fatti. Questa potrebbe essere una definizione di quel ramo particolare del giornalismo che si chiama reportage. Montanelli è stato famoso negli anni’ 30/40 per il reportage di guerra e poi di viaggio (in Giappone, in America, In Africa ecc). È anche vero che oggi questa forma giornalistica, non dico che è tramontata, però è in un ambito molto limitato. Il modo di procurarsi le notizie ormai passa attraverso agenzie di stampa, internet ecc. L’individuo, il giornalista in persona, è passato in seconda linea rispetto al flusso di notizie che viaggia attraverso altri canali. Quindi il giornalista non ha più la figura di protagonista che aveva un tempo.

Vi voglio leggere una particolare definizione che diede proprio Montanelli. Alla domanda “sopravviveranno il giornali di carta?”, Montanelli rispondeva così: “Penso di sì. Il quotidiano tradizionale è un’invenzione a suo modo perfetta: si piega, si trasporta, si legge si butta. I quotidiani come li conosciamo diventeranno però (era il 1999, il mondo è ulteriormente cambiato) l’abitudine di una minoranza ancora più ristretta di quella attuale. Il motivo? La concorrenza. Sessant’anni fa, quando ero inviato speciale, l’Italia aspettava i miei articoli per sapere cosa stava accadendo in Finlandia. Oggi qualsiasi avvenimento è coperto, come si dice in gergo, da televisioni, radio, quotidiani nazionali e locali, agenzie, settimanali, mensili, internet e quant’altro. Questo bombardamento di informazioni equivale spesso a nessuna informazione. Vuole sapere se sono amareggiato? No, sono rassegnato. Ho l’impressione che i quotidiani diventeranno un segno di distinzione, come i libri, i congiuntivi e le posate d’argento. Verranno molto copiati, molto citati, ma letti poco. Alcune informazioni specializzate arriveranno da internet, se ho capito cos’è, non mi stupirei quindi se l’offerta di questi media, sempre a caccia di grandi numeri, scendesse ancora di livello”. Diagnosi abbastanza pessimista, come si vede, anche troppo. Il vecchio Montanelli tendeva ad inclinare verso il pessimismo. È chiaro che nel vedersi cambiare il mestiere tra le mani avesse questo tono pessimistico.

Indro Montanelli, giornalista e scrittore: parte prima

Alberto Malvolti, Presidente della Fondazione Montanelli, ha parlato alla redazione di Leviagravia di uno dei grandi maestri del giornalismo italiano

Trascrizione a cura di Eleonora Rugani e Francesco Bertoli

 

Alberto Malvolti: cominciamo con una piccola premessa su un aspetto particolare della figura di Montanelli perché, come sapete, ha avuto una vita lunga, ha vissuto 92 anni ed ha iniziato a scrivere, a fare il giornalista a 24/25 anni e quindi ha una vita di scrittore e giornalista di una settantina di anni e raccontare tutta la sua carriera giornalistica ci porterebbe via troppo tempo. Mi soffermo dunque come introduzione su un particolare che credo sia importante: cioè la scrittura giornalistica di Montanelli. È un punto di arrivo di un percorso che si intreccia con la biografia, come spesso succede con scrittori anche classici: si guarda la biografia per capire come la scrittura sia arrivata ad un certo punto ed abbia maturato un certo stile personale.

Questo succede anche a Montanelli, che per tutta la vita ha conservato una grande facilità nello scrivere, una sua dote maturata ed esercitata, ma sostanziale, naturale e personale che con il tempo si è trasformata e si è, diciamo così, asciugata. Voglio dire che non è soltanto un dono, ma un percorso che si intreccia con la sua storia e la sua vita.

Comincio quindi leggendovi queste sue quattro righe: “ho attraversato quasi per intero il mio secolo facendo un mestiere che mi ha permesso, anzi mi ha imposto di stare in mezzo ai fatti, a contatto con quasi tutte le grandi figure che lo hanno dominato e in grado di conoscere molti risvolti che la storia non ha registrato, ma questo sono e questo voglio restare soltanto un giornalista, un testimone del mio tempo”.

Questa dichiarazione di Montanelli al termine della sua vita mi pare che renda chiaro qual è l’idea che Montanelli aveva del giornalismo. Il giornalismo è una testimonianza, cioè è un racconto dei fatti che il giornalista vede e può raccontare. Di questa questione, cioè del testimone diretto, Montanelli ne aveva fatto una specie di mito, che può essere riassunto così: “vale quello che io vedo e che posso raccontare”.

Per esempio Montanelli aveva una certa diffidenza nei confronti dei documenti e il racconto giornalistico doveva dunque basarsi essenzialmente sulla testimonianza diretta. Anche la storia per lui va raccontata da testimone come se fosse una sorta di reportage giornalistico. Leggi tutto “Indro Montanelli, giornalista e scrittore: parte prima”

Un’intervista al prof. Sabino Cassese

La redazione di Leviagravia.net ha intervistato il Professor Sabino Cassese, Giudice emerito della Corte Costituzionale e professore emerito della Scuola Normale Superiore di Pisa, nonché professore di “Global governance” al “Master of Public Affairs” dell’Institut d’Etudes Politiques di Parigi.

1) Iniziamo con una domanda che ci riguarda da vicino. Pur nella sua importanza, la scuola a tratti sembra interessata a fornire solo nozioni teoriche, che non hanno alcuna ricaduta pratica sulla vita quotidiana. Quali sono secondo Lei gli aspetti positivi e fondamentali della scuola che possono essere d’aiuto ai giovani, al di là chiaramente dei rapporti sociali che si vengono a formare? Se potesse in qualche modo fare dei miglioramenti nel sistema educativo, che cosa cambierebbe e cosa invece lascerebbe invariato?

Compito della scuola è di fornire le conoscenze essenziali e di aiutare lo sviluppo della capacità di ragionamento. Questo avviene oggi in modo astratto, mentre è un compito che potrebbe essere svolto in maniera più problematica, più legata alle questioni del mondo che ci circonda. Inoltre, la scuola non fornisce neppure i rudimenti relativi ad aree come la medicina, l’ingegneria, la giurisprudenza, l’economia. Occorrerebbe completare l’insegnamento anche in queste aree in modo che chi lascia gli istituti di formazione superiore sappia anche dove dirigersi nell’Università.

2) A tal proposito, crede che la scuola prepari e accompagni gli alunni nella loro formazione culturale e politica? Eventualmente cosa potrebbe fare secondo Lei per migliorare la sua azione in tal senso?

Una delle maggiori lacune è quella che riguarda la materia tradizionalmente chiamata “educazione civica”. Si tratta di un insegnamento che riguarda il modo di vivere nella comunità, le norme e la loro applicazione, le relazioni sociali e giuridiche. 

3) Parlando di politica, passiamo alla spinosa questione del voto elettorale. Secondo Lei, come bisognerebbe approcciarsi al voto? Cosa un cittadino dovrebbe sapere e capire prima di votare? In questo momento storico il popolo italiano è abbastanza istruito e dispone delle risorse critiche necessarie per capire cosa è giusto per il Paese?

L’Italia ha un tasso di scolarizzazione più basso della maggior parte dei paesi dell’Unione europea. Questo incide anche sulla partecipazione politica, che richiede conoscenza della storia, del sistema politico, della Costituzione. E’ in questi campi che bisogna sviluppare insegnamento e conoscenza.

4) A proposito di popolo, soprattutto alla luce dei cambiamenti avvenuti nella società e nel nostro paese dalla sua entrata in vigore ad oggi, c’è qualcosa nella nostra Costituzione che secondo il suo giudizio sarebbe da cambiare o rimodulare?

Il punto debole della Costituzione riguarda il governo. Basti dire che il governo Draghi il sessantasettesimo governo della Repubblica italiana. Gli stessi autori della Costituzione pensavano che occorresse provvedere alla «razionalizzazione» della forma di governo, per dare ad esso una maggiore stabilità. 

5) Cambiamo completamente argomento, ma restiamo nel campo dei diritti. Parliamo di aborto. Il 70% dei ginecologi che lavorano negli ospedali pubblici sono obiettori di coscienza: crede che un dato del genere possa non influenzare la tutela del diritto all’aborto?

Certamente lo influenza, ma è difficile trovare un punto di equilibrio tra il rispetto della libertà individuale e la prestazione obbligatoria di un servizio di assistenza sanitaria.

6) Quali sono secondo Lei i punti di forza e di debolezza della legge ddlzan? Pensa che questa legge possa davvero contribuire e fare dell’Italia un paese meno sessista e omofobo?

Se approvato, migliorerebbe la situazione. Tuttavia, più che sulla disciplina delle punizioni bisogna puntare su una maggiore educazione, sul rispetto delle opinioni e dei comportamenti degli altri,  sull’accettazione della diversità.

 

 

Adesso basta

di Alessandro Vannucci

Il 23 Maggio scorso un aereo civile è stato fermato dall’aviazione bielorussa con la scusa della presenza di una bomba a bordo. L’aereo era partito da Atene e doveva atterrare a Vilnius in Lituania, mentre sorvolava i cieli bielorussi é stato affiancato da un caccia dell’omonimo paese il quale ha intimato ai piloti di atterrare.

Una volta scesi a terra, la polizia ha effettuato delle perquisizioni, che come si sospettava si sono dimostrate una scusa per arrestare un dissidente politico, Roman Potrasevich, un ex collaboratore di Nexta, il canale Telegram che ha più volte criticato il presidente Lukashenko.

Proprio per le sue posizioni politiche, il blogger è stato definito dal presidente una minaccia per l’aviazione civile internazionale. L’episodio ha dato origine ad una escalation di molteplici reazioni del mondo politico bielorusso e internazionale. I vertici dell’Unione europea hanno definito l’episodio inaccettabile, chiedendo l’immediato rilascio del blogger 26enne; sempre l’Unione ha bloccato l’arrivo di 3 miliardi di euro in aiuti al regime e ha dichiarato la Bielorussia come No Fly Zone, impedendo da ora in avanti il traffico aereo con gli altri stati del continente. Leggi tutto “Adesso basta”