Covid 19. Il virus della nostra immagine3 min read

di Margherita Azzi

   Da sempre siamo il paese in cui ogni turista da ogni angolo del Mondo vuole andare. Da sempre creiamo prodotti che tutti i ci invidiano e ci comprano, volentieri. Moda, città d’arte, alimenti, automobili e altre mille eccellenze hanno brillato nell’immaginario collettivo di chiunque.

   Poi guardo le notizie e realizzo che tutto ciò sembra sia scomparso nel giro di una settimana, un battito di ciglia. Ristoranti, musei, bar di città affogati da visitatori improvvisamente vuoti. Italiani respinti negli aeroporti e merci mandate indietro. Italiani all’estero a cui si fanno sempre le stesse domande: “ti senti bene? Sei tornato in Italia da poco?”. Domande scherzose, fino ad un certo punto. Ma questo passi. I problemi seri riguardano la nostra immagine nel mondo, notoriamente il nostro cavallo di battaglia che garantisce un grande export di qualità e una enorme capacità turistica, settori letteralmente motore della nostra economia. Due immagini colpiscono particolarmente: la fila dei Musei Vaticani praticamente inesistente e la notizia della Cnn che ci dipinge come gli untori occidentali.

   Verrebbe da arrabbiarsi, da urlare agli altri che ci stiamo comportando da primi della classe, che loro non hanno neanche il bidet e che noi siamo più bravi perché abbiamo fatto prima e più tamponi. Tutte frasi che circolano nel nostro sottopelle patriottico, comprensibile e da un certo punto di vista anche emotivamente giusto ed apprezzabile. Ma adesso e quasi sempre inutile, quasi dannoso. Certo è importante comunicare all’estero che stiamo facendo tutto il possibile ed il necessario, che non siamo probabilmente il primo focolaio, riconducibile probabilmente alla Germania. Trasmettere il messaggio di paese serio che ha preso con estrema cautela la questione e sottolineare la capacità delle nostre strutture sanitarie. Tutto sacrosanto e doveroso, ma solo se queste nostre istanze e rivendicazioni saranno espresse con umiltà, solidarietà e spirito di collaborazione verso i nostri partner globali i quali dovranno aspettarsi nel giro di poche settimane le stesse condizioni. Noi però dobbiamo bloccare l’emorragia adesso, non possiamo aspettare un’ora di più. Non possono aspettare commercianti, albergatori, tour operator, esportatori alimentari. Non può aspettare nessuno. E allora da subito dovremo chiedere fiducia, aiuto e rispetto per rilanciare prima possibile il nostro buon nome. Dovremo evitare il “te l’avevo detto” quando i casi, drammaticamente, scoppieranno anche nelle mani degli altri sistemi e offrire la nostra esperienza sul campo. Dovrà essere fatto un grande lavoro da parte delle diplomazie di tutte le nazioni perché si raggiunga la massima collaborazione possibile, a partire dalla nostra, che subito dovrebbe iniziare a ricucire rapporti “infetti”.

   Come in tutte le situazioni di emergenza e di pericolo, soprattutto quando questo è tanto piccolo da essere invisibile e quindi non controllabile, si cerca un colpevole, un capro espiatorio, un untore. Questa volta è toccato a noi e dobbiamo accettarlo, ma combattere. Possiamo e dobbiamo farlo senza arroganza, ma con la tenacia, l’umiltà e le capacità che sempre abbiamo mostrato nei momenti di difficoltà. Lascia l’amaro in bocca e una certa disillusione il ruolo, quasi inesistente, dell’UE, che ancora una volta sembra perdere un’occasione. Speriamo in una cooperazione forte nei mesi che verranno, mesi estremamente duri e impegnativi da cui possiamo risollevarci solo mettendo in campo forse unitarie e collettive che devono andare oltre ogni confine.

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