È possibile costruire la pace?4 min read

 

di Michele Puccini

Il concetto di guerra è forzatamente radicato nel mondo animale, e con esso anche nell’uomo. Fin dai propri albori la vita si è presentata come una lotta, quindi una guerra tra le varie specie, per la sopravvivenza, dove non per forza vince, e quindi prospera, l’animale più grande o più forte ma quello che riesce ad adattarsi meglio all’ambiente che lo circonda, esattamente come diceva Darwin. Questa necessità di adattarsi, filosoficamente parlando, si può notare, nel caso dell’uomo, con lo sviluppo delle nostre abilità e capacità cognitive, che a mano a mano che ci siamo evoluti, si sono rivelate sempre più determinanti e hanno sostituito la forza fisica nel poter prendere le decisioni e nello stabilire chi doveva guidare le strutture sociali. Nel carteggio tra Einstein e Freud, pubblicato su espressa richiesta della Società delle Nazioni nel 1933, i due noti intellettuali discutono profondamente del tema e se da un lato il noto fisico tedesco propone un’analisi storica, scientifica, tecnica e giuridica degli eventi dall’altro il noto psicanalista austriaco non si limita soltanto ad analizzare alcune sue interessanti osservazioni ma anche a proporre un’analisi più intima, quasi viscerale, degli aspetti che portano l’uomo alla violenza. Freud, in particolare, rispondendo allo scienziato, sostiene che si può soltanto provare a dirigere l’evoluzione psichica degli uomini, allontanandoli il più possibile dalla malsana idea di iniziare un conflitto che, per via del progresso tecnologico, potrebbe portare al totale annientamento di una, l’altra o addirittura entrambe le parti che lo iniziano. Questa idea può essere ritenuta valida in quanto, come emerso dal dialogo tra i due, i governi e le istituzioni centrali possono deviare il pensiero delle masse, attraverso svariati modi. La risposta più semplice risulta perciò essere che soltanto educando e portando avanti il processo di civilizzazione, o dell’incivilimento come dice Freud, è possibile riuscire ad arrivare a un livello dove la pace diventa permanente e l’espressione della violenza viene deviata verso altre forme di liberazione. La società di oggi è spaccata a metà: i giovani, le persone che lavorano nel settore del sociale e gli anziani sono i primi a volere un mondo di pace, ad indignarsi maggiormente di fronte a certi eventi e a cercare concretamente di tramandare alle generazioni successive i valori di rispetto che i loro genitori e i loro nonni gli hanno a loro volta lasciato in eredità. Dall’altra parte, di contro, troviamo una ristretta categoria di individui, che dispone di un’enorme di ricchezza, sia economica che, in termini numerici, umana, che necessita dei conflitti per arricchirsi ulteriormente facendo passare la guerra come un “male inevitabile”, sfruttando la famosa locuzione kantiana secondo cui vi è un “male radicale” intrinseco in ognuno di noi che non si può estirpare. Questa affermazione è indiscutibilmente vera perché anche nel nostro percorso di vita è necessario fare dei piccoli “conflitti” per autodeterminarci e far valere la nostra persona ma non possiamo far degenerare questa nostra ricerca personale a danno dell’intera comunità che ci circonda. Nel quotidiano abbiamo quindi un ruolo fondamentale: lavorare al fine di non alimentare i sentimenti di odio e rabbia che sono i primi ad essere strumentalizzati da chi le ostilità le vuole per la propria sete di potere, convincendo così le classi più povere e più in difficoltà che il loro nemico porta una certa bandiera, professa una certa religione, ha caratteristiche sociali o culturali diverse. I conflitti di oggi, rispetto al passato sono meno frequenti ma, nonostante ciò, fanno più clamore perché più cruenti, rispettando pienamente la teoria di Freud secondo cui meno si presenta un conflitto più questo sarà mortale. Quando essi erano maggiori in numero non erano per forza tra Paesi, erano di dimensioni più ridotte e spesso con esiti positivi per le parti coinvolte: un esempio sono i nostri giovani italiani che durante gli anni del “boom economico”, stanchi delle privazioni subite, lottavano tutti i giorni contro le ingiustizie al fine di riprendere in mano la situazione del loro Paese, per poterlo ricostruire e farlo  prosperare. L’anestetizzazione intellettuale e l’amorfismo generale sono le prime cose che, come cittadini responsabili, dobbiamo evitare al fine di scongiurare la nascita della violenza: la partecipazione alla vita politica, la coscienza di classe e la volontà di crescere come individui sono i primi passi da compiere. Costruire la pace è molto più difficile che romperla, per distruggerla basta varcare un confine o fare un uso improprio delle proprie forze armate, ma è solo cercando di fare ciò e varcando le difficoltà che si può sperare in un mondo migliore.

 

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