Il sogno della vita6 min read

Un racconto di Lavinia Biagi

Se potessi lasciare tutto e partire, dove andresti? Mi chiese. Queste sono le ultime parole che ricordo essere state pronunciate dalla sua bocca. Me ne andrei lontano lontano, pensai. Via di qua. Se chiudo gli occhi sento il sole del deserto bruciarmi la pelle. La sabbia è così calda che non riesco più a percepire i miei piedi scalzi doloranti. La vedo color ocra, densa e solida all’apparenza, eppure tanto effimera. Si dispone su se stessa strato dopo strato, forma una montagna, ma ecco che arriva una folata di vento a cambiare nuovamente il suo aspetto. Devo tapparmi gli occhi, ma più rimango lì e più a dir la verità devo cercare di proteggere tutto il mio corpo sferzato prepotentemente da quei granelli, ancora più sofferenti di me. Non funziona a molto. Cerco di coprire qui, di coprire là, ma ad ogni mio tentativo mi sembra di lasciare scoperta una parte sempre più grande di me. Mi sento tanto volubile in mezzo a questa tempesta. Il vento cessa, il paesaggio è mutato. È bastato così poco? Ed io invece? Sono sempre la stessa, oppure ho lasciato rubare al vento del deserto una parte di me?

Cammino smarrita senza meta. Il caldo è straziante e la mia gola prosciugata da qualsiasi sorta di liquido, come i funghi rinsecchiti lasciati per troppo tempo al sole. Sembra così immanente questo sole ardente che brucia e consuma e che porta con sé la calura che, tutto a un tratto, mi fa rabbrividire. Sta arrivando sera. A quanto pare, quindi, non c’è nulla in realtà di eterno. Tutto è perituro, tranne la sete. Eccola che torna. Mai lamentarsi della propria situazione, perché è risaputo che ne conseguirà una ben peggiore. Mi sento sprofondare sempre più, attratta verso il basso da una forza invincibile. Tutto intorno a me adesso è acqua. Penso proprio di trovarmi in uno spazio temporale d’acqua! La gioia mi abbandona immediatamente. Sono così vicina all’appagamento di questa mia arsura, ma la fonte stessa della mia redenzione diventa ora causa di sofferenza: non posso aprire la bocca per far fluire dentro di me del liquido, se non voglio annegare. Sento una voce sussurrare: “Hai mai desiderato di vivere sott’acqua?”. No, non che non l’ho mai desiderato. Mi fa paura, ma forse adesso anche questo non sarebbe così male. Il mio corpo si fa sempre più leggero e tutto a un tratto comincia a emettere scintille, forse frecce luminose, fino a quando tutto intorno a me brilla e passo progressivamente da uno stato di torpore a un’improvvisa leggerezza. E il mio corpo va giù, giù, sempre più giù. Ma adesso torno su, su, non mi fermo più. Sono sulla vetta di una montagna. Ero riuscita a trovare pace e a liberarmi da quella bufera incessante, ma ora eccola che si ripresenta. Stavolta niente sabbia, solo raffiche di vento pungente. Da quassù tutto è maestosamente minuscolo. Scorgo solo il sole che si ripara dal cielo infuocato dietro al pendio di una montagna. Ora ho solamente i capelli davanti agli occhi; ogni tanto intravedo tratti rosati sopra di me. Il vento cessa, ma l’aria è rarefatta e il respiro sempre più affannoso. Chissà cosa mi aspetterà dopo.

Comincia a piovere, e con ogni goccia che entra nella mia bocca aperta e secca, la sete lentamente mi abbandona. Mi sento così stanca, mi accovaccio per terra e cerco una posiziona comoda, ma che ritorna nuovamente il gelo a insinuarsi tra le mie membra. Mi addormento e in un baleno è di nuovo giorno. I miei occhi sono stanchi, a fatica riescono ad aprirsi e ad abituarsi alla luce. Li socchiudo dolcemente e tra le ciglia velate scorgo un assaggio di paesaggio. Non mi trovo più sulla vetta di una montagna, bensì in un’ampia radura. Sento in lontananza il fruscio dell’acqua che scorre impetuosa; immagino che sia un ruscello, e io ho ancora così tanta sete! Questa mia nuova condizione mi pare lusso sfrenato rispetto alle precedenti, ma ho paura che improvvisamente si sgretoli tutto quanto. Quando si è tristi e sofferenti si anela sempre per ciò che non abbiamo e ci lamentiamo del nostro presente; quando siamo felici e soddisfatti non riusciamo mai a goderci del tutto la nostra fortuna, per paura che ci venga portata via. E invece dobbiamo vivere, e quando assaporo l’acqua fresca del ruscello, mi sembra di star vivendo per davvero. Resto per un po’ sdraiata al sole, e con le mani cerco di farmi schermo dai raggi del sole, e la mia barriera si intinge di luce e luminosità.

Non ho voglia di alzarmi, ma voglio anche esplorare. Cammino, cammino, cammino e arrivo al punto di partenza. Circumnavigo la mia oasi verde per trovarmi esattamente da punto a capo. Si prova una strana sensazione quando si naviga senza meta e il girovagare appare inutile, perché ci riporta sempre alla fase iniziale: è così estenuante! Voglio guardare il mondo da un’altra prospettiva, perciò mi sdraio e con la coda degli occhi, sia a destra che a sinistra, vedo fiori, petali e steli e nient’altro. Sopra di me il cielo è immobile, non c’è nemmeno una singola scia di un aereo ad impattarlo. All’improvviso le mie orecchie vengono pervase da una musica leggera, come se qualcuno stesse suonando il pianoforte in lontananza. Poi si avvicina sempre di più e il dolce suono si trasforma nel ronzio di chissà quanti insetti. Allora me ne accorgo: mi trovo dentro un fiore con i petali poco discosti gli uni dagli altri; deve ancora sbocciare del tutto. Probabilmente mi trovo nel calice, e l’unico modo per uscire è scalare il pistillo, a quanto pare. Ma non voglio andarmene, non ancora almeno. Sto così bene qui; non fa freddo e il vento, nel caso tentasse di raggiungermi di nuovo, non potrebbe stroncarmi. E poi il profumo è così inebriante e delizioso che sto seriamente pensando di rimanere qui per sempre. Non posso però: una volta che i petali si saranno dischiusi una mandria di insetti vorrà prendere il mio posto. Per adesso sono al sicuro e mi godo il momento. Che fiore grande mi racchiude! O forse sono io che mi sono rimpicciolita?

Adesso sento che la mia mente sta perdendo presenza, si sta riallacciando al mio corpo che per tutto questo tempo non è stato qui con me. Apro gli occhi e mi sveglio. Stavo solo sognando quindi! Eppure che strano, sembrava tutto così reale. Decido di andare a parlare con chi di Freud ne sa meglio di me. Voglio l’interpretazione del mio sogno. Mi dice che ho sognato la vita. La vocina iniziale mi stava soltanto incoraggiando ad alzarmi e partire. Per dove? Chi lo sa. È tutto un’incognita, mi dice. A volte si soffre, a volte si è in pace con se stessi. Il vento pungente, la sete, qualsiasi altro disagio o seccatura di tanto in tanto si presentano, e quando non ci sono ci sembra così strano che vogliamo a tutti i costi che tornino ad infiltrarsi nella nostra serenità, anche se questo non lo capiamo.

Questo sogno mi ha cambiato la vita, ho capito che dobbiamo godercela e non pensare al male, che tanto quello, come si suol dire, vien da sé. Non c’era bisogno di grandi interpretazioni, in conclusione. Stamattina mi sono alzata con la vita che ha deciso di impossessarsi di me, e dato che mi ha fatto questo regalo, non intendo lasciarla andare.

 

 

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