La pagina bianca dell’essenza6 min read

di Veronica Zaffora

Micromegas è un breve racconto, apparentemente di svago, scritto da Voltaire in cui si può notare un atteggiamento critico e ironico verso teorie con cui non era d’accordo. Voltaire infatti nomina molti filosofi del tempo esprimendo indirettamente, attraverso Micromegas, il personaggio principale, la sua opinione sulle loro teorie. Da questo racconto si può facilmente dedurre che Voltaire sosteneva che l’universo fosse aperto e appoggia la teoria della gravitazione universale di Newton e quella dell’attrazione terrestre che implica che la terra ha la forma di uno sferoide, ed è quindi schiacciato sui poli. Su di essa gli esseri umani non sono altro che dei minuscoli atomi.

Micromegas è un giovane gigante abitante del mondo di Sirio, alto ben otto leghe (centoventimila piedi) e un filosofo molto intelligente. Inoltre, servendosi delle forze attrattive e ripulsive viaggiava, da un pianeta all’altro con agilità. Dopo aver esplorato La Via Lattea giunse a Saturno dove i cittadini, in confronto a lui, erano dei nani e si fece amico un piccolo saturniano: il “signor segretario’’. I due si scambiarono molte informazioni a proposito dei rispettivi pianeti confrontando il numero di sensi che avevano: rispettivamente 72 per i Saturniani e 1000 per i siriani; ma scambiarono qualche informazione pure sulla media dei loro anni di vita: 500 grandi rivoluzioni solari per i saturniani e 700 volte di più per i siriani, che non erano comunque mai abbastanza per soddisfarli. La conversazione durò per un po’ concludendosi con la decisione da parte dei due di intraprendere un viaggetto filosofico.

Prima di partire furono interrotti dall’amante del saturniano che, affranta per la sua partenza, si lamentò dicendo che non teneva a lei e che non capiva per quale motivo il loro pianeta non fosse abbastanza per lui e dovesse imbarcarsi per andare lontano. La piccola saturniana però si consolò presto nelle braccia di un bellimbusto del paese.

I due viaggiatori si mossero di luna in luna visitando Giove, Marte per poi sbarcare sulla Terra, più precisamente sulle rive settentrionali del mar Baltico, il 5 luglio del 1737. Dopo un breve riposino e uno spuntino a base di montagne cucinate piuttosto bene iniziarono ad esplorare il nuovo pianeta.

Ci misero solo 36 ore a fare il completo giro della terra e persino il saturniano, che in confronto a Micromegas era un nano, sulla terra era estremamente grande. Una volta tornati al punto di partenza i due iniziarono a lamentarsi: tutto quello che avevano visto erano alcune pozze d’acqua (cioè l’oceano Pacifico e il mar Mediterraneo), del terreno irregolare (per via delle montagne), piccoli ruscelli e per di più il pianeta non era di forma perfettamente sferica, ma schiacciata sui poli. Il saturniano, non avendo visto fino a quel momento nessun essere vivente, dedusse che sul pianeta terra non vivesse nessuno, mentre Micromegas, frustrato dalla loro discussione, ruppe la sua collana di diamanti, che però si rivelò molto utile perché i viaggiatori ne ricavarono due microscopi perfetti per osservare meglio il pianeta.

Osservando l’acqua trovarono una balena, che il siriano mise sull’unghia del suo pollice: i due scoppiarono a ridere per quanto piccola essa fosse, ma poco dopo notarono qualcosa di ancora più straordinario, poco più grande della balena. Pensando che fosse un animale il gigante se la mise di nuovo sull’unghia e presto scoprì che in realtà era una nave, e da questa piccoli uomini presto iniziarono a scendere confondendo la sua unghia per uno scoglio. I due osservavano con incredulità gli uomini che cercavano di salvare i loro averi più preziosi e mentre alcuni salvavano il vino altri si portavano dietro i loro preziosi strumenti.

Questi ultimi erano filosofi: la nave stava infatti tornando da una spedizione nel circolo polare artico per provare che la terra non aveva la forma di una sfera perfetta, ma era schiacciata sui poli. I giganti si accorsero anche che quelli che a loro parevano piccoli atomi comunicavano addirittura tra loro. Micromegas moriva dalla voglia di comunicarci e ci riuscì dopo aver creato un piccolo imbuto con la sua unghia. Quelli che lui pensava fossero insetti in realtà parlavano tra di loro in francese e lui imparò presto la lingua e fu in grado di comunicare con loro.

Finalmente, con tutte queste precauzioni e varie altre, cominciò il suo discorso in questo modo: “Invisibili insetti, che la mano del Creatore s’è compiaciuta di far nascere nell’abisso dell’infinitamente piccolo, io la ringrazio d’essersi degnata di scoprirmi dei segreti che parevano impenetrabili. Forse alla mia corte non si degnerebbero di guardarvi; ma io non disprezzo nessuno, e vi offro la mia protezione”.

Quando gli uomini udirono le prime parole di Micromegas, non capendo da dove venissero, si spaventarono: alcuni recitarono degli esorcismi mentre altri bestemmiarono, ma presto furono informati della situazione e di chi fossero i due giganti. I viaggiatori capirono che gli esseri umani non erano poi così ingenui: riuscirono facilmente a calcolare l’altezza sia del saturniano che del siriano. A questo punto Micromegas fece notare che probabilmente gli uomini della terra erano molto più felici degli abitanti di altri pianeti: “perché – disse di così poca materia e quasi tutto spirito, dovete passar la vita amando e pensando, com’è la vera vita degli spiriti. Non ho veduto in nessun posto la vera felicità, ma qui c’è indubbiamente”.

Ma Micromegas fu presto contraddetto dei terrestri che descrissero le guerre insensate causate semplicemente dalla contesa di territori che caratterizzano la storia umana. Quindi, dopo essersi commosso, il viaggiatore decise di fare alcune domande su temi generali ai filosofi terrestri come la distanza tra luna e terra o il peso dell’aria, e tutti risposero in coro, ma quando chiese cosa fosse la loro anima e in che modo gli esseri umani formassero idee ogni filosofo diede una risposta diversa.

Il filosofo più anziano citò Aristotele: “l’anima è un’entelechia e una ragione grazie alla quale ha il potere di essere quello che è’’. Un altro filosofo seguace di Cartesio disse: “l’anima è un puro spirito, che nel ventre della madre ha ricevuto tutte le idee metafisiche, e che uscendone è costretta ad andare a scuola e a imparare ancora tutto quanto ha saputo così bene e che non saprà mai più’’. Il discepolo di Malebranche alla domanda rispose: “niente’’ ‘’è Dio che ha fatto tutto per me; vedo tutto in lui che fa tutto senza che io c’entri’’. Quello di Leibniz disse: “una lancetta che indica le ore, intanto che il mio corpo suona: oppure, se volete, è l’anima che suona intanto che il mio corpo segna l’ora; oppure la mia anima è lo specchio dell’universo, e il mio corpo è la cornice dello specchio: è chiaro”.

Per ultimo parlò il seguace di Locke: “non so in che modo penso, ma so che non ho mai pensato che grazie ai miei sensi. Che ci siano sostanze immateriali e intelligenti è cosa di cui non dubito; ma che a Dio non riesca di comunicare il pensiero alla ma teoria, è cosa di cui dubito molto. Venero l’eterna potenza, non tocca a me limitarla; non affermo niente, mi contento di credere che ci sono più cose possibili di quanto si creda”.

Ai due viaggiatori sembrò l’affermazione più savia, mentre a quello che rispose il seguace di San Tommaso si misero a ridere: guardò dall’alto in basso i due abitanti celesti e gli dimostrò che le loro persone, i loro mondi, i loro soli e le loro stelle, tutto era fatto esclusivamente per l’uomo. Mentre ridevano i due giganti persero la nave, che cadde dall’unghia di Micromegas nella sua tasca, dopo un po’ però la ritrovarono e prima di andare via promisero di scrivere un libro in miniatura che avrebbe svelato l’essenza delle cose. Ma quando i poveri filosofi lo portarono a Parigi, dove avevano deciso infine di recarsi, scoprirono, dopo averlo aperto, che tutte le pagine erano vuote.

 

 

 

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