La tempra e la coerenza di un intellettuale antifascista3 min read

di Bianca Doberti

Francesco Ruffini fu un accademico e politico, era insegnante all’università di Torino e il suo insegnamento si concentrava maggiormente sul tema della libertà religiosa e in generale sui diritti di libertà. Francesco Ruffini comunque nel corso della sua vita non solo fu un professore, bensì fu preside della facoltà di giurisprudenza, capo gabinetto di Boselli, rettore dell’ateneo torinese, consigliere comunale e poi nel 1914 fu anche nominato senatore, su proposta di Salandra e da questo momento fu attivo in Parlamento fino al 1928 quando fece il suo ultimo discorso riguardante il progetto di legge governativo per riformare in senso autoritario la legge elettorale per la Camera dei deputati; fu anche ministro della pubblica istruzione.

Ruffini firmò nel 1925 il Manifesto degli intellettuali antifascisti scritto in risposta al Manifesto degli intellettuali fascisti da Benedetto Croce, che poi due anni dopo gli dedicò l’opera Uomini e cose della vecchia Italia, composta da un insieme di saggi, per lo più sono biografie di letterati, scrittori e politici e alcune vicende riguardanti l’Italia del sud, dall’umanesimo all’unità d’Italia.

Nel 1931, insieme al figlio, fu uno dei dodici docenti a rinunciare alla cattedra per non giurare fedeltà al fascismo e questo infatti gli costò le dimissioni.

Ruffini si rivolse anche ad Einstein per far sì che convincesse Alfredo Rocco a eliminare l’imposizione del giuramento di fedeltà perché non era giusto che i docenti dovessero giurare fedeltà al fascismo per poter continuare a insegnare. Einstein così gli scrisse una lettera a cui però rispose un collaboratore di Rocco, dicendo che questo giuramento comunque non prevedeva l’adesione a un particolare indirizzo politico e infatti il numero di professori ad aver obiettato era stato molto esiguo.

Ruffini, diversamente da Croce ed altri intellettuali, si schierò contro il fascismo già da prima dell’assassinio di Matteotti, combatté, anche in modo esplicito, scrivendo l’opera Diritti di libertà nel 1926, l’anno delle leggi fascistissime. È molto bello vedere come una persona che crede realmente in qualcosa non si arrenda neanche davanti a complicazioni come ad esempio la perdita della cattedra, per arrivare fino in fondo credendo nei propri ideali.

Purtroppo però questo suo atteggiamento antifascista gli costò un’aggressione all’università di Torino, dove lavorava, da parte di alcuni studenti appartenenti ai gruppi universitari fascisti; i suoi studenti lo difesero, mentre il rettore prese soltanto atto di ciò che gli era stato detto dagli aggressori, cioè che le direttive erano venute dall’alto. Nonostante tutto però Ruffini continuò a combattere in difesa della libertà. Anche quando perse il lavoro, per lui la vita diventò un po’ più complicata ma comunque non si è mai pentito, infatti andò via dalla sua casa di Torino, un po’ troppo costosa per lui in quel momento e si ritirò nella sua un po’ più umile casa di Borgofranco d’Ivrea.

Possiamo dire che la vita e il pensiero di Ruffini abbiano ruotato attorno all’idea di libertà: infatti secondo lui lo Stato moderno deve realizzare la libertà, non la tolleranza. Per continuare a seguire gli ideali e i valori in cui credeva non si fece fermare da nessuna minaccia e da nessun rischio che sapeva di poter correre e fu infatti un punto di riferimento dell’antifascismo torinese proprio grazie a questi suoi principi così solidi.  Dalle scelte fatte da Ruffini nel corso della sua vita si possono vedere la sua determinazione e la sua coerenza: infatti non ha mai smesso di credere negli ideali che lo hanno sempre accompagnato.

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