Le costituzioni e i tornanti della storia. Un’intervista a Michele Ainis21 min read

A cura di Alessandro Rosati

Alessandro Rosati: Le faccio una domanda giusto perché ci rivolgiamo a un pubblico principalmente di adolescenti e la gestione del tempo è una cosa importante. Lei ha collaborato con La Repubblica, L’Espresso, Il Corriere della sera, La Stampa e quindi la mia domanda è: quanto è difficile nel suo lavoro gestire tante attività e come è solito organizzarsi?

Michele Ainis: Bella domanda… lavoro pure la domenica e quindi diciamo che uso tutto il tempo che ho a disposizione… e poi penso che sia uno stimolo stare sopra più tavoli, fare più mestieri. Se dovessi dire, a voi ragazzi che fate il liceo scientifico, qual è la cosa che faccio con più interesse in realtà, è dedicarmi alla narrativa… tra un paio di mesi esce il mio terzo romanzo, anche quello non so quando l’ho scritto… ma l’ho scritto.

A. Rosati: Ho visto che ha scritto tanto, le volevo fare una domanda un po’ più specifica: nel 1999 lei ha pubblicato se 50.000 leggi vi sembran poche e, parlando di un paradosso tutto italiano e anche della burocrazia eccessiva, la mia domanda è: a distanza di vent’anni cosa è cambiato?

M. Ainis: La situazione è peggiorata, nel senso che prima si scrivevano troppe leggi e adesso se ne scrivono di meno, ma con troppi commi. Quindi se noi andiamo a misurare la quantità complessiva, questa quantità è cresciuta. Io questo tema l’avevo affrontato nel primo libro, dopo aver vinto la cattedra universitaria che uscì fuori dai circuiti accademici, che non era quello che citava lei. Due anni prima infatti era uscito da Laterza La legge oscura … in cui si parla dei labirinti dei nostri diritti legislativi e dell’inferno burocratico che ne deriva. Poi nel ‘99 feci questo libro con Vincino… Vincino era un vignettista, è stato un personaggio molto importante, è morto un paio di anni fa. È anche personalmente uno degli incontri importanti della mia vita perché poi siamo diventati amici… Vincino fu quello che fondò Il Male, … che era un giornale satirico degli anni ‘70 e ha fatto un pezzo di storia del costume italiano. In ogni caso anche questo libro del ‘99 cavalcava quell’argomento, ma utilizzava soprattutto degli editoriali che in quel periodo scrivevo su La Stampa di Torino come mattoni per costruire questo libro. La sua domanda è: perché? Perché io credo che il prepotere e a volte la prepotenza della burocrazia derivi dalla debolezza della politica, e quando la politica è debole, ed è debole perché non è capace di produrre decisioni chiare, e allora che fa? Fa dei pasticci, fa dei compromessi che sono puramente verbali, scrive una legge che dice “abacadabra” (formula per indicare un testo di legge qualsiasi ndr), e a quel punto il funzionario delle imposte o del comune la interpeta come gli pare e il giudice che deve poi applicare quella legge diventa il legislatore. E “abracadabra” che significa? Non significa nulla… ma l’origine di tutto questo è sempre in una debolezza della politica.

A. Rosati: Quindi diciamo una debolezza della politica che poi si traduce in troppe voci che devono interpretare testi delle leggi.

M. Ainis: Sì, un po’ è questo…

A. Rosati: In Italia invece abbiamo un altro documento, che peraltro lei ha già trattato, fondamentale e forse il migliore che abbiamo: parlo ovviamente della Costituzione. A distanza di più di 70 anni dalla scrittura, come fa la Costituzione ad essere ancora così attuale?

M. Ainis: Questa è una domanda che richiederebbe molte parole, però se devo dirlo con una battuta, è perché i costituenti 72 anni fa riuscirono a coltivare la virtù della semplicità, della chiarezza. Un linguaggio generale e non pignolo come spesso è il linguaggio delle nostre leggi, un linguaggio generale che consente a ciascuno di riconoscersi nella Costituzione. Quando vi si leggono termini come libertà, solidarietà, uguaglianza… non sono respingenti, non sono parole che respingono, ma che accolgono. Essendo scritte in termini generali… potrei fare molti esempi, ma basta leggere la prima parte della Costituzione… sono parole che riescono a ricevere, assorbire dei significati diversi rispetto a quelli che avevano in testa i costituenti. L’articolo sulla libertà di manifestazione del pensiero, l’Articolo 21, per esempio. Quando venne scritto c’erano la radio e la carta stampata, non c’era ancora la televisione, la televisione comincia a metà degli anni 50, e tantomeno c’era Internet. Però l’Articolo 21 protegge la libertà di informazione, di comunicazione attraverso certamente la televisione e attraverso certamente internet, perché è stato scritto in termini molto generali.

A. Rosati: Quindi si può dire che è anche molto all’avanguardia?

M. Ainis: Non esattamente perché anche lo Statuto Albertino menzionava la libertà di stampa. Lo Statuto Albertino fu la Costituzione che ha preceduto quella in vigore adesso, e rimase in vigore per cent’anni. Lo Statuto Albertino è del 1848 e la Costituzione repubblicana è del 1948, quindi c’è un secolo esatto, e la libertà di stampa era prevista anche prima, ma con molti limiti. C’era comunque già: non fu un’invenzione della costituzione del ’48.

A. Rosati: Ho capito, insomma, la costituzione era fatta un po’ a misura del cittadino, era fatta per il cittadino in primis.

M. Ainis: Tutte le Costituzioni dovrebbero essere scritte per i cittadini. Perché… che cos’è una Costituzione? È la legge più alta, è la regola più alta che pretende di imporsi a chi ha il potere di fare le regole; e questo è anche un paradosso, perché la politica, cioè il governo, il parlamento, la maggioranza parlamentare, oppure una volta il re (c’era il re quando venne scritto lo Statuto Albertino), colui che può dettare le leggi e le regole, hanno una regola più alta, c’è una regola più alta che condiziona il regolatore, che sia questo un parlamento o un monarca. Allora non è più il re che fa la legge, ma è la legge che fa il re, in uno stato di diritto e in uno stato costituzionale. A che serve questo? Serve a difendere la libertà dei cittadini, e se il potere politico non fosse limitato da una regola superiore, le nostre libertà non esisterebbero. Quindi la Costituzione serve a separare questo potere, a tagliargli un po’ le unghie, perché il potere è inevitabile: in ogni società umana c’è qualcuno che ha il potere e qualcuno che è soggetto a questo potere, e il potere non si può eliminare perché una società non potrebbe altrimenti esistere. Adesso, in questa conversazione, se parlassimo entrambi contemporaneamente, non potremmo farla, ed il potere del microfono ce l’ho un momento io e un momento ce l’ha lei che mi fa le domande. Allora posto che il potere non si può eliminare, lo si può disciplinare, per evitare che faccia troppo male. E come lo disciplini? Lo disciplini separandolo con un principio di separazione di poteri. Ogni costituzione è fatta per i cittadini.

A. Rosati: Molto chiaro. Tornando invece al presente… negli ultimi anni la Costituzione è stata, mi passi il termine, un po’ “presa di mira”, penso per esempio al referendum di qualche anno fa. Le vorrei chiedere: cosa pensa di questa tendenza “contro costituzionale”?

M. Ainis: Dipende dalla debolezza, credo, del potere politico. Siccome è debole, arriva il leader politico di turno (ieri Berlusconi, poi è stato Renzi) si mette un cappello da Napoleone in testa, cambia la Costituzione e rimane nei libri di storia per questo. C’è la volontà di rompere la storia, come diceva Hegel, che è sempre una cosa pericolosa. Questi tentativi però, devo dire, sono stati respinti dagli italiani. Sia la grande riforma di Berlusconi del 2005, che modificava 55 articoli della nostra costituzione, sia la grande riforma fatta dal governo Renzi nel 2016, che tagliava 47 articoli della costituzione, sono state poi seppellite dal referendum costituzionale. Questo vuol dire due cose: o gli Italiani sono affezionati alla loro vecchia costituzione, o non ritengono credibili i politici che avevano provato a cambiarla. In realtà, non basta mettersi su una scrivania e scrivere la più bella costituzione del mondo. Le Costituzioni non nascono dalla volontà di un leader o di una commissione di professori, nascono in un tornante della storia, che spesso è anche un tornante tragico. La Costituzione del ‘47 nasce dopo la guerra, anzi dopo una guerra civile, che è la peggiore di tutte le guerre. C’erano macerie materiali e morali, e c’era stata una dittatura lunga 20 anni. Senza quella tragedia collettiva non si sarebbe riusciti a scrivere una nuova Costituzione. Ebbe un effetto di affratellamento. Comunisti, socialisti, cattolici: erano stati tutti perseguitati dal fascismo, tutti vittime della guerra. De Gasperi andò in esilio, e anche Croce e Togliatti avevano subito persecuzioni. Si era creato un clima di un comune destino e di fratellanza tra questi politici, che in 18 mesi hanno scritto una Costituzione nuova. Tutto perché c’era stata questa tragedia. Le costituzioni nascono quindi dalla storia, da un tornante della storia.

A. Rosati: Molto bella questa definizione. Lei prima ha detto che i costituenti hanno utilizzato un linguaggio generale e proprio per questo la costituzione è ancora oggi così attuale. La domanda sorge spontanea: perché la vecchia classe politica ha dato vita ad un documento del genere e invece quella attuale, come lei ha detto, si perde nelle attuali leggi, andando a inserire eccessivi cavilli e burocrazia.

M. Ainis: Non lo so, forse dipende dal fatto che c’era meno diffidenza reciproca. Perché si vara una legge così pignola, che elenca tutti i casi? Ci sono i Dpcm (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri ndr) che io ho criticato pubblicamente, perché non sono strumenti previsti dalla costituzione, e a parte questo sono una litania di norme parossistica. Da che cosa nasce questo costume normativo e quindi questo linguaggio? Nasce dalla diffidenza. Siccome io non mi fido, nemmeno del giudice che dovrà poi interpretare la mia legge per applicarla, allora cerco di scrivere una legge che sia il più possibile precisa. Invece diventa assolutamente imprecisa. Se si elencano 10 casi ci sarà sempre l’undicesimo caso a cui non si è pensato e rispetto al quale il tuo giocattolo (la legge ndr) si rompe. Meglio utilizzare clausole generali e affidarsi a chi deve interpretare le leggi e accompagnarle nelle diverse situazioni e condizioni, allora la legge sopravviverà. Quindi io penso che in parte derivi da questa scarsa fiducia verso chi dovrà poi applicare le leggi. In parte invece potremmo fare un discorso più vasto. Io penso che l’ultimo scrittore italiano sia stato Calvino, dopo di lui non ne vedo. La musica… sarà che io sono vecchietto… vedo che anche i ragazzi continuano a sentire il rock anni ‘70. È un momento di crisi della creatività.

A. Rosati: Quindi anche di povertà di contenuti?

M. Ainis: Esatto

A. Rosati: Una domanda… forse una curiosità strettamente personale, una domanda secca: se potesse, tornerebbe indietro a quella Prima Repubblica che diede vita alla Costituzione?

M. Ainis: Allora… tornare indietro a quando avevo 20 anni mi piacerebbe, anche se poi tutta la fatica che è stata fatta dopo sul lavoro…  comunque tornare alla Prima Repubblica che vuol dire? La Prima Repubblica è durata 45 anni, cioè è durata dal ‘48 fino al ‘92-’93, quando poi Tangentopoli ha spazzato via tutti i vecchi partiti.

A. Rosati: Faccio riferimento soprattutto ai valori e alla prima parte della Prima Repubblica, quella post-Costituzione.

M. Ainis: Gli anni ‘50 furono feroci. Gli anni ‘50, in piazza anche col coltello. In una stagione politica Scelba, Ministro dell’interno della democrazia cristiana, usava i manganelli. Inviava i poliziotti nelle piazze mentre la Fiat aveva i reparti confino (particolari reparti delle fabbriche ndr), dove costringeva i sindacalisti di sinistra per non mescolarli con degli altri operai. Insomma, furono anni feroci. Però c’era anche da ricostruire dalle macerie e avvenne il boom economico degli anni ‘60-’70. Penso che quella fu la stagione più felice, o meglio la stagione meno infelice… e non a caso fu anche il periodo in cui la Costituzione venne attuata. Fu promulgata la legge sul diritto di famiglia, che finalmente attribuì alla donna lo stesso ruolo del marito; la legge sui manicomi, sul divorzio e nascono le regioni, in precedenza presenti solo sulla carta. Tutto negli anni ‘70, considerando tutto quello che era successo dopo il ‘68. Penso che sia stato un bel periodo, poi è finito male. Però ci fu un momento che fu il momento dell’attuazione della Costituzione felice, che peraltro coincide con la mia giovinezza e quindi penso che tutti siano nostalgici rispetto a quando avevano 20 o 15 anni. Poi in realtà, se ci pensi bene, ti ricordi che non era una passeggiata avere 15 anni… e allora non ci capisci più nulla.

A. Rosati: Chiaro! Grazie mille per la disponibilità.

Intervista trascritta da Francesco Bertoli, Flavio Cola, Filippo Del Testa, Greta Moriconi, Alessandro Rosati, Eleonora Rugani, Alessandro Vannucci.

Le costituzioni e i tornanti della storia. Un’intervista a Michele Ainis

A cura di Alessandro Rosati

Alessandro Rosati: Le faccio una domanda giusto perché ci rivolgiamo a un pubblico principalmente di adolescenti e la gestione del tempo è una cosa importante. Lei ha collaborato con La Repubblica, L’Espresso, Il Corriere della sera, La Stampa e quindi la mia domanda è: quanto è difficile nel suo lavoro gestire tante attività e come è solito organizzarsi?

Michele Ainis: Bella domanda… lavoro pure la domenica e quindi diciamo che uso tutto il tempo che ho a disposizione… e poi penso che sia uno stimolo a stare sopra più tavoli, a fare più mestieri. Se dovessi dire, a voi ragazzi che fate il liceo scientifico, qual è la cosa che faccio con più interesse in realtà è dedicarmi alla narrativa… tra un paio di mesi esce il mio terzo romanzo, anche quello non so quando l’ho scritto… ma l’ho scritto.

A. Rosati: Ho visto che ha scritto tanto, le volevo fare una domanda un po’ più specifica: nel 1999 lei ha pubblicato le 50.000 leggi mi sembran poche e, parlando di un paradosso tutto italiano e anche della burocrazia eccessiva, la mia domanda è: a distanza di vent’anni cosa è cambiato?

M. Ainis: La situazione è peggiorata, nel senso che prima si scrivevano troppe leggi e adesso se ne scrivono di meno, ma con troppi commi e quindi se noi andiamo a misurare la quantità complessiva questa quantità è cresciuta. Io questo tema l’avevo affrontato nel primo libro, dopo aver vinto la cattedra universitaria che uscì fuori dai circuiti accademici, che non era quello che citava lei. Due anni prima infatti era uscito da Laterza La legge oscura … in cui si parla dei labirinti dei nostri diritti legislativi e dell’inferno burocratico che ne deriva. Poi nel ‘99 feci questo libro con Vincino… Vincino era un vignettista, è stato un personaggio molto importante, è morto un paio di anni fa. È anche personalmente uno degli incontri importanti della mia vita perché poi siamo diventati amici… Vincino fu quello che fondò Il Male, … che era un giornale satirico degli anni ‘70 e ha fatto un pezzo di storia del costume italiano. In ogni caso anche questo libro del ‘99 cavalcava quell’argomento, ma utilizzava soprattutto degli editoriali che in quel periodo scrivevo su La Stampa di Torino come mattoni per costruire questo libro. La sua domanda è: perché? Perché io credo che il prepotere e a volte la prepotenza della burocrazia derivi dalla debolezza della politica, e quando la politica è debole, ed è debole perché non è capace di produrre decisioni chiare, e allora che fa? Fa dei pasticci, fa dei compromessi che sono dei compromessi puramente verbali, scrive una legge che dice abacadabra, e a quel punto il funzionario delle imposte o del comune la legge come gli pare e il giudice che deve poi applicare quella legge diventa lui il legislatore. E abracadabra che significa? Non significa nulla… ma l’origine di tutto questo è sempre in una debolezza della politica.

A. Rosati: Quindi diciamo una debolezza della politica che poi si traduce in troppe voci che devono interpretare testi delle leggi.

M. Ainis: Sì, un po’ è questo…

A. Rosati: In Italia invece abbiamo un altro documento, che peraltro lei ha già trattato, fondamentale e forse il migliore che abbiamo: parlo ovviamente della Costituzione. A distanza di più di 70 anni dalla scrittura, come fa la Costituzione ad essere ancora così attuale?

M. Ainis: Questa è una domanda che richiederebbe molte parole, però se devo dirlo con una battuta, è perché i costituenti 72 anni fa riuscirono a coltivare la virtù della semplicità, della chiarezza e un linguaggio generale e non pignolo come spesso è il linguaggio delle nostre leggi, un linguaggio generale che consente a ciascuno di riconoscersi nella Costituzione. Quando vi si leggono termini come libertà, solidarietà, uguaglianza, questi non sono respingenti, non sono parole che respingono, sono parole che accolgono, ed essendo scritte in termini generali… potrei fare molti esempi, ma basta leggere la prima parte della Costituzione… sono parole che riescono a ricevere, assorbire dei significati diversi rispetto a quelli che avevano in testa i costituenti. L’articolo sulla libertà di manifestazione del pensiero, l’Articolo 21, quando venne scritto c’erano la radio e la carta stampata, non c’era ancora la televisione, la televisione comincia a metà degli anni 50, tantomeno c’era Internet e però l’Articolo 21 protegge la libertà di informazione, di comunicazione attraverso certamente la televisione, attraverso certamente internet, perché è stato scritto in termini molto generali.

A. Rosati: Quindi si può dire che è anche molto all’avanguardia?

M. Ainis: Non esattamente perché anche lo Statuto Albertino menzionava la libertà di stampa, lo Statuto Albertino fu la Costituzione che ha preceduto quella in vigore adesso, e rimase in vigore per cent’anni. Lo Statuto Albertino è del 1848 e la Costituzione repubblicana è del 1948, quindi c’è un secolo esatto, e la libertà di stampa era prevista anche prima, ma con molti limiti. C’era comunque già: non fu un’invenzione della costituzione del 48.

A. Rosati: Ho capito, insomma, la costituzione era fatta un po’ a misura del cittadino, era fatta per il cittadino in primis.

M. Ainis: Tutte le Costituzioni dovrebbero essere scritte per i cittadini. Perché… che cos’è una Costituzione? È la legge più alta, è la regola più alta che pretende di imporsi a chi ha il potere di fare le regole, e questo è anche un paradosso, perché la politica, cioè il governo, il parlamento, la maggioranza parlamentare, oppure una volta il re (c’era il re quando venne scritto lo Statuto Albertino), colui che può dettare le leggi, dettare le regole, hanno una regola più alta, c’è una regola più alta che condiziona il regolatore, che sia questo un parlamento o un monarca. Allora non è più il re che fa la legge, ma è la legge che fa il re, in uno stato di diritto e in uno stato costituzionale. A che serve questo? Questo serve a difendere la libertà dei cittadini, e se il potere politico non fosse limitato da una regola superiore, le nostre libertà non esisterebbero, quindi la Costituzione serve a separare questo potere, a tagliargli un po’ le unghie, perché il potere è inevitabile, in ogni società umana c’è qualcuno che ha il potere e qualcuno che è soggetto a questo potere, e il potere non si può eliminare perché una società non potrebbe altrimenti esistere. Adesso, questa conversazione, se parlassimo entrambi contemporaneamente, non potremmo farla, ed il potere del microfono ce l’ho un momento io e un momento ce l’ha lei che mi fa le domande. Allora posto che il potere non si può eliminare, però lo si può disciplinare, per evitare che faccia troppo male. E come lo disciplini? Lo disciplini separandolo con un principio di separazione di poteri. Ogni costituzione è fatta per i cittadini.

A. Rosati: Molto chiaro. Tornando invece al presente… negli ultimi anni la Costituzione è stata, mi passi il termine, un po’ “presa di mira”, penso per esempio al referendum di qualche anno fa. Le vorrei chiedere: cosa pensa di questa tendenza “contro costituzionale”?

M. Ainis: Dipende dalla debolezza, credo, del potere politico. Siccome è debole, arriva il leader politico di turno (ieri Berlusconi, poi è stato Renzi) si mette un cappello da Napoleone in testa, cambia la Costituzione e rimane nei libri di storia per questo. C’è la volontà di rompere la storia, come diceva Hegel, che è sempre una cosa pericolosa. Questi tentativi però, devo dire, sono stati respinti dagli italiani. Sia la grande riforma di Berlusconi del 2005, che modificava 55 articoli della nostra costituzione, sia la grande riforma fatta dal governo Renzi nel 2016, che tagliava 47 articoli della costituzione, sono state poi seppellite dal referendum costituzionale. Questo vuol dire due cose: o gli Italiani sono affezionati alla loro vecchia costituzione, o non ritengono credibili i politici che avevano provato a cambiarla. In realtà, non basta mettersi su una scrivania e scrivere la più bella costituzione del mondo. Le Costituzioni non nascono dalla volontà di un leader o di una commissione di professori, nascono in un tornante della storia, che spesso è anche un tornante tragico. La Costituzione del ‘47 nasce dopo la guerra, anzi dopo una guerra civile, che è la peggiore di tutte le guerre. C’erano macerie materiali e morali, e c’era stata una dittatura lunga 20 anni. Senza quella tragedia collettiva non si sarebbe riusciti a scrivere una nuova Costituzione. Ebbe un effetto di affratellamento. Comunisti, socialisti, cattolici: erano stati tutti perseguitati dal fascismo, tutti vittime della guerra. De Gasperi andò in esilio, e anche Croce e Togliatti avevano subito persecuzioni. Si era creato un clima di un comune destino e di fratellanza tra questi politici, che in 18 mesi hanno scritto una Costituzione nuova. Tutto perché c’era stata questa tragedia. Le costituzioni nascono quindi dalla storia, da un tornante della storia.

A. Rosati: Molto bella questa definizione. Lei prima ha detto che i costituenti hanno utilizzato un linguaggio generale e proprio per questo la costituzione è ancora oggi così attuale. La domanda sorge spontanea: perché la vecchia classe politica ha dato vita ad un documento del genere e invece quella attuale, come lei ha detto, si perde nelle attuali leggi, andando a inserire eccessivi cavilli e burocrazia.

M. Ainis: Non lo so, forse dipende dal fatto che c’era meno diffidenza reciproca. Perché si vara una legge così pignola, che elenca tutti i casi? Ci sono i Dpcm (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri ndr) che io ho criticato pubblicamente, perché non sono strumenti previsti dalla costituzione, e a parte questo sono una litania di norme parossistica. Da che cosa nasce questo costume normativo e quindi questo linguaggio? Nasce dalla diffidenza. Siccome io non mi fido, nemmeno del giudice che dovrà poi interpretare la mia legge per applicarla, allora cerco di scrivere una legge che sia il più possibile precisa. Invece diventa assolutamente imprecisa. Se si elencano 10 casi ci sarà sempre l’undicesimo caso a cui non si è pensato e rispetto al quale il tuo giocattolo (la legge ndr) si rompe. Meglio utilizzare clausole generali e affidarsi a chi deve interpretare le leggi e accompagnarle nelle diverse situazioni e condizioni, allora la legge sopravviverà. Quindi io penso che in parte derivi da questa scarsa fiducia verso chi dovrà poi applicare le leggi. In parte invece potremmo fare un discorso più vasto. Io penso che l’ultimo scrittore italiano sia stato Calvino, dopo di lui non ne vedo. La musica… sarà che io sono vecchietto… vedo che anche i ragazzi continuano a sentire il rock anni ‘70. È un momento di crisi della creatività.

A. Rosati: Quindi anche di povertà di contenuti?

M. Ainis: Esatto

A. Rosati: Una domanda… forse una curiosità strettamente personale, una domanda secca: se potesse, tornerebbe indietro a quella Prima Repubblica che diede vita alla Costituzione?

M. Ainis: Allora… tornare indietro a quando avevo 20 anni mi piacerebbe, anche se poi tutta la fatica che è stata fatta dopo sul lavoro…  comunque tornare alla Prima Repubblica che vuol dire? La Prima Repubblica è durata 45 anni, cioè è durata dal ‘48 fino al ‘92-’93, quando poi Tangentopoli ha spazzato via tutti i vecchi partiti.

A. Rosati: Faccio riferimento soprattutto ai valori e alla prima parte della Prima Repubblica, quella post-Costituzione.

M. Ainis: Gli anni ‘50 furono feroci. Gli anni ‘50, in piazza anche col coltello. In una stagione politica Scelba, Ministro dell’interno della democrazia cristiana, usava i manganelli. Inviava i poliziotti nelle piazze mentre la Fiat aveva i reparti confino (particolari reparti delle fabbriche ndr), dove costringeva i sindacalisti di sinistra per non mescolarli con degli altri operai. Insomma, furono anni feroci. Però c’era anche da ricostruire dalle macerie e avvenne il boom economico degli anni ‘60-’70. Penso che quella fu la stagione più felice, o meglio la stagione meno infelice… e non a caso fu anche il periodo in cui la Costituzione venne attuata. Fu promulgata la legge sul diritto di famiglia, che finalmente attribuì alla donna lo stesso ruolo del marito; la legge sui manicomi, sul divorzio e nascono le regioni, in precedenza presenti solo sulla carta. Tutto negli anni ‘70, considerando tutto quello che era successo dopo il ‘68. Penso che sia stato un bel periodo, poi è finito male. Però ci fu un momento che fu il momento dell’attuazione della Costituzione felice, che peraltro coincide con la mia giovinezza e quindi penso che tutti siano nostalgici rispetto a quando avevano 20 o 15 anni. Poi in realtà, se ci pensi bene, ti ricordi che non era una passeggiata avere 15 anni… e allora non ci capisci più nulla.

A. Rosati: Chiaro! Grazie mille per la disponibilità.

Intervista trascritta da Francesco Bertoli, Flavio Cola, Filippo Del Testa, Greta Moriconi, Alessandro Rosati, Eleonora Rugani, Alessandro Vannucci.

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