Moby Dick, il mostro degli abissi della nostra coscienza6 min read

di Filippo Del Testa.

   Finalmente, dopo mesi di lettura, posso dirlo: è stato un viaggio sensazionale. Il romanzo, scritto da Herman Melville nel 1851, è tutt’oggi considerato uno dei più grandi capolavori della letteratura americana; ma originariamente non fu identificato come tale: esso infatti non piacque molto ai contemporanei e fu considerato come un vero e proprio fallimento a livello commerciale, tanto che determinò la fine e la conseguente morte della carriera letteraria di Melville. Il romanzo fu riconsiderato soltanto circa 50 anni dopo la sua composizione e venne collocato, com’è giusto che sia, ai vertici della letteratura americana se non addirittura di quella mondiale.

   La balena bianca ha sempre avuto un ruolo determinante nell’ immaginario collettivo di tutti noi, c’è chi l’ha temuta, chi ha sempre desiderato di reincarnarsi nella sua possente natura, chi ha provato ribrezzo e sdegno soltanto ad immaginarsi un tale essere; eppure c’è anche chi ne è stato ossessionato a tal punto da spendere tutta la vita alla sua ricerca. Questa è la storia del Capitano Achab, descritto magistralmente da Melville, che seppur non identifichi in lui il narratore della sua opera, decide di far ruotare tutta la vicenda attorno all’ angusta e angosciosa personalità del capitano.

   Achab decide dunque di dedicare la sua intera vita, alla ricerca di ciò che per lui è definibile come l’incarnazione di tutti i mali, terrestri ed extraterrestri, colui che lo aveva privato di una parte di sé: Il Leviatano, Moby dick.

   È proprio questo termine “Leviatano”, utilizzato da Melville che ci consente di aprire una grande parentesi all’ interno della vicenda; con questa parola infatti in epoche antecedenti era stato identificato un terribile mostro biblico presente in vari momenti nel testo su cui si erge tutta la cristianità odierna.

   Da ciò si evince dunque che oltre ad aver tenuto presente varie filosofie, Melville, per scrivere il suo libro non ha mai neppur dimenticato l’ insegnamento della Bibbia, all’ interno della quale è presente anche un’ altra vicenda che ritroviamo nell’opera di Melville: la storia di Giona, profeta biblico che per punizione divina fu inghiottito da un’ enorme capodoglio, all’ interno del cui corpo, il profeta si pentì a tal punto di aver disubbidito a Dio , che dopo tre giorni di ostaggio nello stomaco del mostro marino sarà proprio quest’ ultimo a rigurgitarlo sulla spiaggia.

   Nell’opera di Melville questa vicenda avrà dunque una funzione premonitrice per Ismhael e tutti gli altri uomini dell’equipaggio, soltanto in seguito si scoprirà quindi che il destino di questi uomini sarà quello di seguire la delirante mente del loro capitano che li porterà, nel momento conclusivo dell’opera alla perdizione eterna e verso una morte atroce.

   La grandezza del capolavoro letterario tuttavia non risiede unicamente nella narrazione delle parti narrative dell’opera che occupa solamente una parte della vicenda. Il discorso è infatti arricchito da innumerevoli digressioni di lode alla baleneria e di analisi del mondo marino che, unendosi come tessere di un mosaico, risultano essere l’una complementare dell’altra e contribuiscono in maniera decisiva alla comprensione generale del testo.

   Le evocazioni di temi filosofici sono nell’opera innumerevoli. Uno, a mero titolo di esempio, risulta però particolarmente evidente: il richiamo alla concezione del sublime nell’accezione kantiana del termine. Il modo in cui la natura (incarnata dalla balena) si scaglia completamente contro l’uomo e l’umanità (il capitano Achab) richiama infatti alla memoria il contrasto che caratterizza il sentimento tanto bene descritto da Kant. Seppure infatti, in un primo momento, la natura sembra superiore all’uomo stesso, in realtà per altro verso, è proprio quest’ultimo a rivelarsi superiore ad essa grazie alla consapevolezza della propria impotenza di fronte alla superiore forza della natura. Prende piede così un’imperitura lotta al termine della quale è realmente difficile comprendere chi possa davvero fregiarsi del titolo di vincitore. La balena bianca è quindi un ente superiore, un colosso, l’incarnazione del male contro cui inutilmente l’uomo tenta di scagliarsi, durante la sua miserabile vita terrena.

    Di seguito riporto alcuni passi dell’opera che mi hanno colpito maggiormente, e che dal mio punto di vista riassumono al meglio il capolavoro dell’autore Americano.

   “Niente! Ed è quasi mezzogiorno! Il doblone possiamo salutarlo! Guarda il sole! Si, si, dev’essere così. Ho veleggiato oltre. Sicché sarei passato in testa? Già, ora è lei che dà la caccia a me, non io a lei, non va bene, c’era da aspettarselo.”

    Così Achab risponde ad una vedetta dopo che le ha riferito di non aver avvistato la bestia marina. In questo passo, forse uno dei più espliciti del Romanzo Melville mette in mostra tutte le sue straordinarie doti di scrittore; infatti è come se in questo momento il capitano si fosse ormai reso conto di dove l’ha condotto la sua folle ossessione. Adesso non è più lui il predatore, è divenuto la preda, e in un certo senso il “male” che tutti noi lettori abbiamo creduto si incarnasse nel Leviatano, adesso si specchia sul suo cacciatore ormai divenuto oggetto di caccia: il Capitano Achab.

     “Gli ufficiali aspettavano il turno di essere serviti. Erano come bambini al cospetto di Achab, eppure in Achab non sembrava albergare traccia di arroganza sociale, come un sol uomo non staccavano l’occhio dal coltello del vecchio che davanti al piatto forte faceva le parti. Ho idea che per nulla al mondo avrebbero profanato quel momento con la benché minima osservazione, neanche su un argomento abusato come il tempo”.

   In questo passo, tratto dalla parte centrale del libro emerge il modo in cui la radicata follia del capitano riesca a riflettersi su tutto l’equipaggio. Melville mette infatti in evidenza come, in un qualunque momento della giornata, quando il capitano distribuiva le razioni di pane, nessuno e dico nessuno avrebbe mai osato interrompere l’aura generata da esso. Achab è visto come un’entità superiore, che però alla fine dei giochi si incarnerà nel Dio della sua stessa perdizione e di quella di tutto l’equipaggio: “Malgrado la caterva di rimandi a quel che è di soave, rispettabile e sublime, nell’idea più riposta che ci facciamo di questa tinta si cela tuttavia un che di sfuggente, che incute nell’ anima più panico di quanto non spauri il rosso del sangue… È quel bianco spettrale a conferire tanta abominevole mitezza, più ributtante ancor che orrifica, al muto gongolio della ghigna.”

   Così, in una delle tante digressioni, Melville cerca di spiegare come possa il terrore che il Leviatano incute negli uomini essere ancor più accentuato dalla bianchezza del capodoglio stesso. Sembra che la natura, rappresentata dalla balena, incarni il destino indecifrabile e ipnotico che attende l’uomo e che questi, per accettarlo pienamente, gli vada incontro in maniera ostinata e tenace, animato da quell’Amor Fati, tanto narrato da Nietzsche, a cui non può sottrarsi. Il capolavoro dello scrittore americano non si sottrae alla stessa sorte: esso risulta pieno di frasi significative e pregne di allegorie riguardanti la sua ricerca di un senso assoluto, o di una totale mancanza di senso. Anche per questo Moby Dick, oltre ad essere il racconto di una fantastica avventura, è anche e soprattutto un manuale appassionante da cui qualsiasi persona, aprendo una delle sue tante pagine, può trarre insegnamenti preziosi a livello morale e filosofico in qualsiasi momento della sua vita.

 

 

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