Caso Regeni, tra dramma e ingiustizia

di Alessandro Vannucci

I pm della Repubblica hanno ricostruito le dinamiche che caratterizzano la detenzione di Giulio Regeni, le torture che il giovane ricercatore italiano ha subito dalla National Security egiziana dal 25 gennaio al 3 febbraio 2016, quando il suo cadavere fu ritrovato nel tratto stradale che collega Il Cairo e Alessandria. Grazie alle indagini gli investigatori italiani sono riusciti a scoprire che il ricercatore dell’Oxford University fu torturato e seviziato con oggetti roventi, lame, pugni e calci. La procura capitolina ha decretato 4 avvisi di chiusura delle indagini per 4 membri dei servizi segreti egiziani, mentre per il quinto è stata decisa l’archiviazione.

Sequestro di persona pluriaggravato, concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate: accuse pesanti quelle imputate ai presunti colpevoli. I magistrati italiani hanno inoltre evidenziato come le ragioni dell’arresto di Regeni fossero futili e prive di fondamenta. Ciò sfortunatamente non gli ha evitato torture così spietate, che secondo le fonti investigative italiane avrebbero portato alle perdita di organi e lesioni traumatiche cervico dorsale.

Dopo gli ultimi processi le accuse sono ricadute anche sul generale Tariq Sabir, ma anche su Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi, e su Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Quest’ultimo sarebbe il carceriere e boia del nostro compatriota, che abusando del potere di maggiore dell’esercito egiziano ha volontariamente e autonomamente torturato Giulio Regeni fino a portarlo ad un’insufficienza respiratoria centrale, rivelatasi poi causa della morte. L’assassino, secondo i magistrati, non ha agito seguendo ordini di organizzazioni governative ed è stato aiutato da persone rimaste tutt’oggi ignote.

Queste informazioni sono state scoperte grazie all’aiuto di 5 testimoni, uno dei quali afferma di aver visto Regeni ammanettato a terra con segni evidenti di torture nella sala 13 dell’edificio della National Security. Un secondo testimone ha spiegato di avere visto il ricercatore presso la caserma di Dokki, tra le ore 20 e le ore 21 del 25 gennaio. Secondo la ricostruzione Regeni una volta arrivato avrebbe chiesto alla polizia di parlare con un legale. Sempre seguendo la seconda testimonianza la vittima sarebbe stata scortata da 4 uomini vestiti da civili per poi essere bendata e trasportata in macchina in un posto chiamato Lazoughly.

Infine il testimone afferma di avere sentito il cognome Sheriff e il nome Mohamed. In entrambe le ricostruzioni viene affermato che il ragazzo fermato dalla polizia parlasse italiano. Dopo queste ricostruzioni i pm hanno spiegato che gli avvocati difensori hanno venti giorni per trovare prove che dimostrino l’opposto. Prestipino, uno dei pm incaricato del caso insieme a Colaiocco, ha descritto le prove rinvenute come “univoche e significative”. Colaiocco ha poi evidenziato la mancata collaborazione di 13 soggetti dell’autorità statali egiziane.

L’avvocato e la famiglia della vittima si sono poi detti soddisfatti della sentenza e hanno rilasciato dichiarazioni dove definiscono l’Egitto un paese non sicuro e hanno aggiunto che il caso di loro figlio rappresenta come, per lo stato, un vita umana valga meno del profitto derivato dalla vendita di armi e di petrolio. La madre di Giulio ha poi definito la loro battaglia legale come una lotta di civiltà e ha chiesto il ritiro dell’ambasciatore italiano dal Cairo, dato che da parte dell’Egitto non sono stati fatti in avanti, ma anzi indietro e tutt’oggi persistono dubbi e incertezze sulle diverse responsabilità degli enti egiziani e italiani. Molti infatti si chiedono perché nei giorni di prigionia del ricercatore nessuno si sia mosso all’ambasciata o al consolato e se il governo fosse al corrente della situazione.

Il caso irrisolto di Giulio Regeni rappresenta il basso valore di una vita umana, se paragonata ai profitti che derivano dal traffico delle armi. L’Italia ha da diversi anni intrapreso rapporti economici con il governo militare egiziano, come è stato documentato, infatti, la nostra repubblica ha venduto due fregate alla marina egiziana pochi anni fa.

È questo quindi il prezzo di una vita umana? Due navi da guerra per uno stato che non rispetta i diritti civili e reprime con la forza qualsiasi forma di ribellione.

Giulio è stato ucciso brutalmente perché indagava sulle condizioni dei lavoratori e i loro rapporti con i sindacati, ma ciò che scandalizza maggiormente è che nessun politico italiano, durante i giorni di prigionia del giovane ricercatore, si sia mosso nei palazzi dell’ambasciata del consolato a sua tutela. Come può uno stato sovrano come l’Italia, settima potenza mondiale, lasciare che un suo cittadino venga torturato e ucciso da uno stato canaglia come l’Egitto.

Non possiamo pretendere di rendere il mondo un posto migliore se ogni volta che la giustizia e gli interessi commerciali si scontrano, la classe dirigente lascia la vittoria a quest’ultimi, non tutelando e impoverendo la maggior parte della popolazione.

L’ipocrisia di una crisi annunciata

di Alessandro Rosati

   È arrivata la crisi di governo. Annunciata, anticipata da giornali e interviste. Del resto non poteva essere altrimenti, ormai si era giunti ad un punto di non ritorno. Il tira e molla tra il Premier Conte e il leader di Italia Viva Matteo Renzi occupava le colonne dei quotidiani da più di due settimane. Le Ministre Teresa Bellanova ed Elena Bonetti, rispettivamente responsabili delle politiche agricole e familiari, ieri hanno rassegnato le dimissioni aprendo di fatto la crisi di governo.

   La motivazione ufficiale delle dimissioni degli esponenti di Italia Viva è il mancato accordo sul Mes. Infatti mentre la maggioranza, più o meno in maniera unita, si era dichiarata sfavorevole ad adottare il fondo salva-stati (o Mes che dir si voglia), Italia Viva preferiva usufruirne per avere finanziamenti immediati dall’Ue. Questo il motivo spiegato nella mail inviata a Conte nel tardo pomeriggio, ma probabilmente c’è ben altro dietro la decisione orchestrata da Matteo Renzi. Ora, passando alle motivazioni “non ufficiali”, alcuni parlano di un presunto scontro sulla vicinanza dei servizi segreti a Palazzo Chigi; altri di un’effettiva sfiducia nei confronti di un esecutivo che ha dimostrato di poter risolvere ben poco; e infine altri ancora di un mero protagonismo di Renzi, che non è da escludere.

   Al di là di quali siano però i veri motivi che hanno scatenato l’ennesima crisi di governo e di quali saranno le risoluzioni (si parla già di una maggioranza alternativa), Matteo Renzi ha genuflesso l’Italia più di quanto non lo fosse già. È questo l’aspetto probabilmente più assurdo della mossa dell’ex Premier: gettare benzina sul fuoco.

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Sics: quando il tuo migliore amico può salvarti la vita

di Francesco Bertoli

   La Scuola Italiana Cani Salvataggio (SICS) è un’organizzazione di volontariato, dedita all’addestramento di unità cinofile per il soccorso nautico. La scuola conta 350 unità cinofile sul suolo nazionale, suddivise a loro volta in varie sezioni regionali, nella sezione di Firenze, che include anche la provincia di La Spezia, sono presenti 90 unità cinofile.

   La società venne fondata nel 1988 da Ferruccio Pilenga, attuale presidente dell’organizzazione, che ha sede a Milano. I primi addestramenti si svolsero dapprima sul Lago d’Iseo e sul Lago Moro, entrambi in provincia di Brescia.    La tecnica ideata da Pilenga ha subìto negli anni diverse modifiche, e oggi possiamo dire che il metodo educativo della SICS si basa sul rinforzo positivo, ovvero un qualsiasi stimolo, come una piccola ricompensa, che inciterà il cane a ripetere una determinata azione, al punto di renderla naturale come un gioco. Questo metodo instaura nel cane un rapporto di empatia e di fiducia verso il conduttore.

   I cani più adatti all’addestramento nautico appartengono a quelle razze considerate “acquatiche”, che sono maggiormente predisposte al nuoto per la caratteristica zampa palmata e la protezione termica della loro pelliccia, tra queste troviamo il Terranova, il Labrador, il Golden Retriever, il cane da acqua Portoghese, ma anche un meticcio può rispondere molto bene. Il cane deve pesare almeno 25 Kg, per avere una corporatura adatta al recupero di una o più persone. La formazione consiste in 2 parti fondamentali: l’addestramento a terra in cui il cane consolida il suo rapporto affettivo e fiduciario con il conduttore, impara a relazionarsi con il resto del gruppo e a lavorare in squadra, attraverso particolari esercizi di obbedienza. La seconda parte dell’addestramento si svolge in acqua, i cani, insieme ai rispettivi conduttori, simulano le diverse situazioni di salvataggio che si possono verificare nella realtà. La singola unità cinofila, detta anche binomio cane-conduttore, è indivisibile, ciò significa che il cane non può seguire l’addestramento o presidiare postazioni di soccorso con una persona differente dal suo rispettivo conduttore. Durante il presidio, che solitamente  avviene con la presenza di più unità cinofile, esiste una suddivisione dei compiti per rendere più efficace l’intervento: chi entra in acqua per raggiungere  il malcapitato, valuterà le sue  condizioni adottando poi il metodo migliore per portarlo a riva, con l’aiuto del  cane munito di un’imbracatura galleggiante; quest’ultimo sarà determinante per il risultato del salvataggio in termini di tempo durante la fase di rientro, la potenza di traino del cane è veramente notevole, stringendo fra i denti la corda del baywatch trascinerà a riva la persona in difficoltà. Chi rimane a terra ha il compito di avvisare e di coordinare i soccorsi sanitari, la Guardia Costiera e la Capitaneria di Porto con la quale nel 2015 è stato siglato l’accordo quadro che ha come obiettivo una serie di collaborazioni tra le due organizzazioni.

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Natale in Spagna

di Slivia Picchi e David Michelini

   Il 2020 è stato un anno un po’ particolare, che ci ha fatto riflettere sull’importanza di molti valori. Soprattutto in questi giorni di festività, ci manca la “normalità”, la gioia di un Natale tradizionale… Non abbiamo la possibilità di viaggiare, di seguire le nostre tradizioni, di passare questi momenti tra l’affetto e la gioia delle nostre numerose famiglie. Proprio per questo, è importante non lasciare che il Natale perda la sua magia, aprendo gli occhi a nuovi orizzonti e a nuove culture, attraverso i ricordi o i racconti degli amici.

   Ad esempio, usiamo la magia del Natale, o la fantasia se preferite, per teletrasportarci in Spagna in un anno diverso da questo… come potremmo festeggiare là il Natale?

   È il 24 dicembre: partono i festeggiamenti e si celebra la Vigilia di Natale o meglio la Nochebuena (“notte buona”). In questa serata, ci riuniremmo con tutta la nostra famiglia spagnola per celebrare la cena più importante dell’anno. I prodotti tipici locali e le specialità spagnole riempirebbero abbondantemente la tavola e la serata sarebbe animata dai villancicos, canti relativi a Betlemme, alla vita di Gesù o a fatti quotidiani. Dopo la cena, Papá Noel (“Babbo Natale”) distribuirebbe i regali a tutti i bambini presenti e potremmo vedere i loro sguardi felici illuminarsi alla vista di questa figura rossa. Andremmo a dormire contenti e ben sazi e ci sveglieremmo il 25 mattina o meglio Navidad (“Natale”), pronti per festeggiare a pranzo con un banchetto simile a quello della sera prima. In questo giorno, ci riuniremmo tutti davanti alla televisione per ascoltare il re di Spagna che legge il suo messaggio di auguri.

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