Dalla parte di chi combatte per la libertà3 min read

di Sara Bigongiari

Dopo la salita al potere di Mussolini, sempre più persone iniziarono a aderire agli ideali fascisti. Nel 1931 venne imposto a 1250 professori, provenienti da tutta Italia, di giurare fedeltà al regime fascista, ma solamente 12 rifiutarono. Tra queste dodici personalità erano compresi economisti, filosofi, scienziati e anche tre professori di discendenza ebraica. Il più giovane dei tre si chiamava Giorgio Levi della Vida.

Giorgio Levi della Vida nacque a Venezia nel 1886, da una famiglia ebraica assimilata non osservante, ciò significava che egli aveva origini ebraiche, ma non era né credente né praticante. Decise di dedicarsi agli studi di orientalistica e seguì i corsi di ebraico e di lingue semitiche, quelli di arabo e di epigrafia greca. Successivamente vinse una borsa di studio presso la Scuola archeologica italiana di Atene e in seguito per quella del Cairo. Dunque, riuscì a viaggiare molto, entrando in contatto con diverse culture e formando un proprio pensiero sul mondo circostante. Nel 1913 vinse il concorso per la cattedra di arabo all’ Istituto universitario orientale di Napoli, dove si stabilì per due anni e li frequentò la cerchia di Benedetto Croce, il cui rapporto sarà fondamentale e influenzerà le sue scelte negli anni a venire.

All’inizio del 1920 fu chiamato per la cattedra di ebraico e lingue semitiche dell’Università di Roma e pochi anni dopo pubblicò degli articoli di politica, nei quali espresse la sua netta opposizione al fascismo. Già da questa prima presa di posizione mostrò subito le sue idee riguardanti il fascismo e i suoi futuri obiettivi. Quest’azione, pochi giorni dopo la marcia su Roma, venne punita con la somministrazione dell’olio di ricino.

Dopo il delitto Matteotti, Della Vida decise di firmare il Manifesto degli intellettuali antifascisti realizzato da Benedetto Croce con l’obiettivo di rispondere al manifesto degli intellettuali fascisti, pubblicato da Mussolini su tutti i giornali italiani.

Nel 1931 fu promulgato il decreto che imponeva agli universitari il giuramento di fedeltà al fascismo, al quale egli rifiutò di sottomettersi. Della Vida preferì abbandonare l’insegnamento universitario accettando consapevolmente l’insicurezza economica che ne sarebbe derivata. Durante questi anni trovò un impiego nella Biblioteca apostolica Vaticana, ma con l’entrata in vigore delle leggi razziali abbandonò, nel 1939, l’Italia e si trasferì negli Stati Uniti. Questa scelta fu dettata anche dalle sue origini, perché nonostante non fosse praticante, discendeva da una famiglia ebraica. Finita la guerra rientrò in Italia, ma l’atmosfera politica dell’immediato dopoguerra, lo spinse tuttavia a ripartire per gli Stati Uniti e a restarvi fino al 1948. Al suo ritorno definitivo in Italia, della Vida riprese le lezioni presso l’Università di Roma, dove tenne la cattedra di storia e istituzioni musulmane e si dedicò alla pubblicazione dei suoi scritti. Morì a Roma nel 1967.

Giorgio Levi della Vida dichiarò di non essere mai stato particolarmente interessato all’attività politica, ma di essere stato spinto ad agire dalla convinzione che il momento cupo che l’Italia stava attraversando con l’affermazione del fascismo rendeva necessario che ogni cittadino si assumesse le proprie responsabilità.

Le scelte che egli ha compiuto durante la sua vita mostrano il suo coraggio nel rispettare i suoi valori e i suoi ideali, anche con la piena consapevolezza di ciò che gli sarebbe potuto accadere, tenute conto anche le origini familiari. Nonostante ciò, non si è mai tirato indietro e ha sempre portato avanti il suo pensiero schierandosi non dalla parte degli oppressori, bensì da quella di chi combatte per la libertà.

 

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