Giorgio Errera, una persona salda nella difesa della libertà4 min read

di Ginevra Salvioni e Fabiana Mencaroni

 

Il 1931, forse per alcuni un anno qualunque, di poca importanza. “Cosa successe nel 1931?” – “Boh, non lo so”. Eppure il 1931 è un anno che dovrebbe essere ricordato da tutti gli studenti, da tutti i lavoratori, insomma da tutti.

All’inizio dell’anno accademico 1931/1932 furono 1.225 i docenti universitari che vennero chiamati a firmare il giuramento fascista; rifiutarsi di giurare fedeltà comportava la perdita della cattedra, del diritto alla liquidazione e alla pensione.

Nonostante questa consapevolezza 12 professori dissero NO al giuramento imposto da Mussolini e pagarono per la loro scelta: perdendo la cattedra, ma qualcuno fu pure costretto all’esilio e altri invece si costrinsero a vivere ai margini della società.

Erano persone normali, dei semplici professori accomunati da un’indole ribelle che risiedeva dentro ciascuno di loro, pieni di coraggio e senza paura; loro sono i così tanto nominati eroi, protagonisti, inoltre, di un bel libro scritto da Giorgio Boatti: Preferirei di no.

Tra questi uno in particolare ha catturato la mia attenzione quasi subito: Giorgio Errera, di preciso non saprei dire cosa mi ha colpito, sono tutti personaggi molto interessanti; forse di Errera, in particolar modo, ci è piaciuto il fatto che fosse un chimico o forse che pochi anni dopo aver rifiutato il giuramento di fedeltà, sia morto.

Nato il 26 ottobre 1860 a Venezia da una famiglia ebrea di origine sefardita, Errera studiò alle Università di Padova e di Torino: fu preparatore chimico all’Istituto di Chimica di Torino, diretto da Marcello Fileti, poi conseguì la libera docenza in Chimica generale nel 1887. Ottenne la sua prima cattedra all’Università di Messina del 1892 e vi rimase per 16 anni, fino a quando, durante il terremoto del 1908 che distrusse anche l’Istituto, perse la moglie, rimanendo lui stesso a lungo sotto le macerie. Un destino, questo, che lo accomuna a Gaetano Salvemini, un altro grande intellettuale e antifascista italiano.

Le disavventure siciliane di Giorgio Errera non finiscono con il terremoto di Messina. La sera del 14 febbraio 1915, quando la nera ala della guerra già si è estesa in Europa e sta per avvolgere anche l’Italia, Errera viene aggredito e accoltellato. È un’aggressione misteriosa e non si riuscirà mai a identificarne gli autori.

Nel 1909 venne chiamato all’Università di Palermo, dove rimase fino al 1917, quando la Facoltà di Pavia lo chiamò per sostituire il professor Giuseppe Oddo. Presso l’Università di Palermo era un collega di Giovanni Gentile che, divenuto ministro della Pubblica istruzione, ritenne che il coraggioso professore fosse idoneo a gestire l’Università di Pavia e lo nominò rettore dell’Ateneo per il triennio 1923-26.

Ma Errera non accettò la nomina infatti il 29 ottobre dello stesso 1923, poco dopo la nomina di Gentile, Errera manda un laconico telegramma al ministro scrivendo “non sono adatto”; ritenendo che le nuove leggi sull’istruzione universitaria configurassero il rettore universitario come un’emanazione diretta del Ministro; Coerente con la sua posizione, Giorgio Errera fu il solo professore della Facoltà di Scienze dell’Università di Pavia a sottoscrivere l’antimanifesto redatto da Benedetto Croce in opposizione al Manifesto degli intellettuali fascisti.

La sua carriera universitaria terminó bruscamente nel 1931 quando si rifiutó di prestare il giuramento di fedeltà al Fascismo. Morì pochi anni dopo nel 1933 a Torino. Fu un uomo estremamente coerente, sempre attento a evitare qualsiasi compromesso con la dittatura. L’Università di Pavia gli ha dedicato una lapide in onore dell’ingiustizia subita, scoperta nel ‘97 nella quale viene definito “saldo negli ideali di libertà civili ed intellettuale”.

Insomma un uomo rispettabile sotto ogni punto di vista, che è andato avanti per la sua strada senza voltarsi mai indietro e senza farsi mai abbindolare. Ma cosa avremmo fatto noi al suo posto? Metterci nei suoi panni adesso è molto difficile, perché sono cambiate un po’ di cose dal 1931, possiamo solo immaginare e provare con la fantasia a immedesimarci in un professore universitario di quegli anni e anche così non saremmo in grado d’immaginare le nostre scelte: probabilmente non avremmo avuto tutto il suo coraggio, perché il suo “no” fu davvero coraggioso e ostinato. Forse ci saremmo fatte sopraffare dalla massa, avremmo avuto paura delle conseguenze saremmo andate incontro se avessimo rifiutato. Non a caso solo 12 professori su 1.225 ebbero il coraggio di dire “no”. Chi sa quanti altri tra quelli avrebbero voluto dire quel “no” e avere anche solo una briciola del loro coraggio; ma la scelta che presero fu, forse, quella più semplice, quella meno sconveniente, quella che avrebbe salvato la loro vita e il loro lavoro. L’esempio di Giorgio Errera, al pari di quello degli altri 11, rimarrà perciò straordinario, e dovrebbe essere riconosciuto in tutto il mondo perché non è mai semplice opporsi, specie quando si è in netta minoranza, al potere delle dittature.

 

 

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