Non provo niente

di Rebecca Giusti

Questa foto è vecchissima, piena di polvere addosso se fosse cartacea e non dentro una cartella di file. Nessuno la considera mai, la nomina, la interpella o la cita in discorsi di alcun genere, come si fa con le foto d’élite. “Ti ricordi la faccia che avevi in quella? Assurdo, sembravi la Marta!”, “Quanto si stava bene eh, guarda ho ancora la foto di noi stese al sole come delle lucertole, strinate e con la pelle secca come l’aria che si respirava in quel momento!”. Nessuno che dica mai niente su di lei.

Eppure lei c’è. Tornavo da un compleanno, da sola, nella città spenta e triste come a gennaio è qualunque cosa lasciato esposto alle temperature esterne. Tutto si rattrappiva cercando di scaldarsi un po’ mentre camminavo, sembrava che le mattonelle fossero più vicine per infondersi un po’ di calore alle membra e cercare di farsi forza. La luce si dipanava come un filo che cerca di tenere tutto insieme, senza permettere a niente di fuggire al buio, nell’ombra invernale pronta a inghiottire parti di strada, uomini, coppie che si attardano dopo cene di lavoro e tornano all’auto, senza tregua, senza pietà per i malcapitati che spariscono come la condensa che mi usciva dalla bocca respirando. La strada stava a guardare. Guardava i miei piedi che tacchettavano sulle mattonelle impaurite, con voglia di stare vicine, ma irrimediabilmente congelate nella posizione in cui si trovavano. Guardava anche i lampioni, che dall’alto spiavano i movimenti furtivi degli ultimi, che si attardavano a tornare in casa, un po’ perché la spinta a stare fuori di sabato per scappatelle a comprare bevute ghiacciate e flirtare con qualcuno è forte nonostante il clima ostile, e un po’ forse perché anche loro erano un po’ stregati: dalla strada, dai lampioni, dalle cose inghiottite nell’ombra. Leggi tutto “Non provo niente”

Come si mangiava nel medioevo

di Alessandra Giuntoli

 

Come si mangiava nel medioevo? Questa è grosso modo la domanda cui risponde il libro di Maria Concetta Salemi Mangiare nel Medioevo (Sarnus edizioni, 2018). La risposta non può che prendere le mosse dai mercati cittadini, che fornivano agli abitanti sia alimenti come carne, pesce, latte, formaggi, frutta e verdura, bacche e legumi, sia utensili e strumenti vari come per esempio ferri vecchi, stoffe, cesti, pentolame, candele, legna, vetri e moltissimi altri oggetti.

Nell’età di mezzo era molto frequente incontrare viaggiatori e pellegrini che grazie ai loro lunghissimi viaggi avevano scoperto come riuscire a conservare il cibo più a lungo, cosa che era una necessità primaria, visto che non esistevano mi frigoriferi: i metodi più diffusi per la carne e il pesce erano la salagione, l’affumicatura, l’essiccazione, o sennò l’uso di una gelatina; per la frutta invece c’era lo zucchero, il miele e lo sciroppo di vino dolce.

In quell’epoca esistevano tantissimi cibi “della penitenza”, come per esempio legumi, cereali verdura e frutta; ma il più importante era il latte, che ereditava dagli antichi la fama di alimento pericoloso, “barbaro”. Ma c’erano pure cibi “del desiderio e del bisogno”, come il pane: bianco, morbido e ben lievitato per i signori che avevano lo stomaco delicato e invece scuro, pesante e rozzo ottenuto dai cereali per i poveri o per chi svolgeva lavori pesanti; oppure la carne, che era legata alla forza e al potere, ed essa equivaleva al grasso che indicava benessere, piacere e gioia. Leggi tutto “Come si mangiava nel medioevo”

Vallisneri in tautogrammi

di Martino Andreini

 

Tautogramma= composizione costruita con componenti che cominciano, categoricamente, con caratteri coincidenti.

Ambiziosi adolescenti avete ancora accuse appassionate? Andiamo ad additarne alcune…

Ahimè, adesso anche Bindocci, benchè bimbo bianco e bilanciato, blatera di belle e birbanti battaglie bolsceviche, bla bla bla, e bonariamente si beffa dei balordi battibecchi tra gli altri Bronzei Baroni1. Comunque cambiamo cantilena e con considerazioni calugnose cominciamo a cantar colui che col coetaneo Cortese Comunista2 cerca conflitto, cacchio che coesione! Cola che consideri le calzature3 di capitale cospicuità, chissà come coloreremo il cappuccio delle comode camicie… Diamine! Non dimentichiamoci di domandare al DeLuca da quando è diventato dannatamente diligente.

Dunque esordiamo espondendo ed elencando  gli errori dell’entrambe famose femmine che fanno finta di favorire noi giovani giocatori gentili ma governano per gaio guadagno. Gironzolano gallonate e hanno imprecisi incarichi interni, indicativamente importanti e inclini all’inerzia. Insomma indichiamo infine le irose innominate: Lorella, che loda la legge ma lede la libertà, e la sua lussuosa leader, che laggiù lontana litiga e lavora, oh Mencacci. Maria-Rosa, mentre mediti magistrali museruole, miri a mettere una muta mascherina sopra il mondo che me e i miei mortifica.  Ma la Magna Ministra4 mostrò il suo meglio mentre minacciò “La Mia scuola”  in mondovisione5 e le mani di molti maestri non nascondevano nessuna nemesi. Oppure quando osasti osservare che persino i privilegiati professori potevano parimente peccare quando questi resistevano a riconoscere le rigide restrizioni e rigettavano le restanti ridicole responsabilità. Oh Rosaria, rimaneva rassicurante soltanto il sereno sollievo del Santo-Natale quando sorridenti sfoggiavamo spumanti scadenti e strani stuzzichini. Stavolta Supplizio di Tantalo, tutto taceva mentre il tempo dei teneri torroni terminava, da te, tradito. Tagliamo tutta la tediosa telecronaca delle Temute Tiranne e tentiamo di trovare un termine da trattare tutto in “U”, per ultimare questo umoristico usignolo.

Un’unica umana unione urla: l’UDS, che vuole veramente veicolare una vermiglia voce ma in verità vedo velata solo vuota vanità e vano vilipendio.

Và mia volgare zanzara6 e, sugli zaini, zampetta zelante.

  1. I rappresentanti d’istituto.
  2. Paolo Pasqualetti.
  3. Sineddoche di abbigliamento.
  4. La preside.
  5. Riunione meet con tutte le classe del liceo del 22/11/2021.
  6. Questo testo.

Cambiare idea, cambiare opinione, cambiare noi stessi

di Rebecca Giusti

Ci pensate mai che non potremmo mai pensare qualcosa che non pensiamo? Voglio dire, avremmo sempre il nostro stesso modo di pensare, non penseremo mai come gli altri. Non saremmo mai gli altri per tutta la nostra vita, avremmo sempre e solo un solo modo di veder il mondo, il nostro. Sembra limitante come cosa, non trovate? Che se qualcuno ci ha creato, ci ha fatti solo con dei pensieri nostri, senza permetterci di ragionare in altri modi, ma solo con la parola per confrontarci, che comunque è solo un misero tentativo per spiegare il nostro mondo interiore ad un terzo individuo che lo può fraintendere, capire nella maniera sbagliata, non capire proprio o illudersi di avere inteso tutto quello che c’era da sapere su di noi quando in realtà non ne conosce neanche un millesimo. Saremo noi per sempre. Potremmo avere la mente aperta, preferire quella cosa rispetto all’altra dando modo ai dibattiti di farci cambiare idea, avere un odio irrazionale per una certa cosa o persona ma essere pronti a cambiare giudizio: vedremo comunque sempre e solo la nostra realtà personale, con qualche dettaglio che sfuggirà costantemente al nostro minimo e ristretto campo visivo sull’universo. Questo perché siamo noi stessi, non un’altra persona e neanche più persone insieme.

Forse è questo che spinge molte persone a credere di avere il miglior punto di vista su una certa cosa piuttosto che un’altra. A pensare che in politica è meglio fare questo ed agire in un modo, che è migliore la loro opinione su temi di attualità di quella dell’amico, a credere che il loro stile di vita sia quello più equilibrato di tutti, o che agire come ha fatto “lui” sia completamente sbagliato, da condannare, deplorevole. Ma questo perché siamo noi, e pensiamo così, e non potremmo mai pensare qualcosa di diverso da quello che riteniamo giusto. Come si fa a immedesimarci completamente nella testa di un altro individuo che crede che la soluzione migliore ad un determinato problema sia l’opposta rispetto alla nostra? Non si può.