Yun Dong Ju2 min read

Un poeta per la libertà

di Rebecca Giusti

Questa parola difficile da pronunciare per noi occidentali è stato in realtà il nome di un poeta coreano. Non si sa molto sulla sua vita, tanto che su Wikipedia gli è stato dedicato un breve trafiletto di una pagina, con tutte le informazioni che racchiude l’immensa vita caleidoscopica di un uomo. Da una foto in bianco e nero che ho trovato di lui, si vede un volto perfettamente ovale con due minuscoli occhi incastonati all’interno che fissano chiunque gli stia davanti. Accenna un mezzo sorriso, ma ha l’aria di una persona di cui ti fideresti. Sembra calmo, pervaso dal benessere in quello scatto. Ha lo stesso viso dei nonni quando vedono i loro nipotini dopo qualche mese e pensano a quanto sono cresciuti quelle creature che solo poco tempo prima gli traballavano al ginocchio.

Questo personaggio, suppongo alquanto sconosciuto in quest’ala ridotta del mondo in cui ci troviamo, è invece inciso nella memoria di tutti i coreani, piccoli, medi, bruni, con gli occhi azzurri o le lentiggini. È stato un grande uomo, poeta, e una persona, a mio modesto parere e con la mia conoscenza ridotta della persona reale, affidabile, eccessivamente buono e abbastanza timido inizialmente, taciturno la maggior parte delle volte. Naturalmente ognuno si può creare la propria immagine di Dong Ju guardando la sua foto sul web, ma a me piace credere che lui si stato così.

Venne fatto prigioniero a Fukuoka (in Giappone) con l’accusa di aver preso parte al moto indipendentista coreano, e morì nel carcere della città nel febbraio del 1945, a 27 anni. I suoi componimenti vennero pubblicati solo dopo la sua morte in una raccolta intitolata: “Cielo, vento, stelle e poesia” e Yun, ancora oggi, dalla staticità di un’immagine in cui si vede il suo volto e da una serie di parole accostate tra loro a formare un puro ideale in forma poetica, ci regala delle sensazioni impregnate dell’odore dell’amarezza, della resistenza e della bontà dell’animo umano.

Lascio di seguito i primi versi della poesia Prologo, che sembra incedere verso dopo l’altro al ritmo del suo respiro lento, con un sapore di diritti e opinioni negate e soppresse che si percepisce tra le righe, come un retrogusto.

   죽는 날까지 하늘을 우러러 Possa guardare in alto il cielo fino al giorno in cui muoio
한점 부끄럼이 없기를, senza neppure un briciolo di vergogna.
잎새에 이는 바람에도 Anche per il vento che passa fra le foglie
나는 괴로워했다. ho sofferto.
별을 노래하는 마음으로 Con l’animo che canta le stelle
모든 죽어가는 것을 사랑해야지. devo amare tutte le cose che vanno verso la morte.
그리고 나한테 주어진 길을 E poi, la strada che mi è stata assegnata
걸어가야겠다. dovrò percorrere.
오늘 밤에도 Anche stanotte
별이 바람에 스치운다. le stelle piangono agitate dal vento.

 

Lascia un commento