Un lamento per la pace sempre attuale

di Gabriele Billet

Il Lamento della Pace (Querela Pacis), composto nel 1517 da Erasmo da Rotterdam, è il più celebre scritto pacifista dell’autore, ed è tutt’ora considerato una pietra miliare nella storia del pacifismo europeo.

Il testo – steso nel contesto di un’Europa insanguinata e straziata da violenti conflitti armati, coinvolgenti gli Stati europei, ivi compreso quello della Chiesa- risulta portatore di un messaggio estremamente moderno ed attuale: il ripudio della guerra.

Lo scritto viene espressamente dedicato dall’autore a Filippo di Borgogna, il quale, proprio nel 1517, era stato nominato vescovo di Utrecht; in lui infatti Erasmo riponeva la speranza di una figura che potesse rendersi garante della pace in una situazione estremamente conflittuale quale quella dell’epoca contemporanea del 1500.

Erasmo si propone nel Lamento della Pace quale pacifista radicale ante litteram, esponente della tesi del rifiuto totale della guerra, in quanto del tutto incompatibile, per l’autore, non solo con le massime evangeliche, ma anche con la razionalità umana; in tal senso Erasmo si presenta come portatore di un potente messaggio pacifista, secondo il quale occorre perseguire la tutela e la difesa della pace, ripudiando incondizionatamente la guerra e la violenza. Leggi tutto “Un lamento per la pace sempre attuale”

Un rifiuto esemplare

di Lorenzo Nardi, Chiara Perrone e Caterina Simonetti

Il 28 agosto 1931 sulla Gazzetta Ufficiale apparve il decreto n.1227 che all’articolo 18 obbligava i docenti universitari a giurare devozione alla patria e al regime fascista. La richiesta del regime imposta agli oltre 1200 professori fu rifiutata da soli 12 in tutta la penisola, i quali, a seguito della loro dignitosa decisione, persero la cattedra. É necessario ricordare che solo un professore di storia dell’arte non aderì al giuramento, il modenese Lionello Venturi.

Nel 1907 inizia la sua carriera di storico dell’arte come ispettore nelle gallerie di Roma e Venezia. Nonostante fosse immerso completamente nel mondo dell’arte, egli non si isolò mai dal contesto sociale e politico che lo circondava tanto da partecipare come volontario alla Grande Guerra con il grado di tenente. In anni nei quali l’università italiana comincia ad indossare con disinvoltura la camicia nera, Venturi si defila dalle iniziative identificabili con il regime ricevendo un richiamo dal Ministro dell’Educazione Nazionale. “Non mi è possibile d’impegnarmi a formare cittadini devoti al regime fascista, perché le premesse ideali della mia disciplina non mi consentono di far propaganda nella scuola per alcun regime politico”, così scrive Lionello nella sua missiva al Rettore torinese respingendo l’invito a prestare giuramento. Negli anni seguenti si esilierà volontariamente a Parigi, dove aderirà al nucleo antifascista di Giustizia e Libertà e poi negli Stati Uniti, trovando nella “Mazzini Society”, organizzazione liberal-socialista, democratica e repubblicana, un luogo di conforto.

Dopo la liberazione di Roma nel ’44 Venturi rientra in Italia sotto il governo Bonomi, il quale reintegra i docenti universitari licenziati nel 1931. Circa 10 anni dopo si ritira dall’insegnamento e morirà nel 1961 nella capitale. Nello stesso anno, scrive una lettera a Giancarlo Vigorelli, giornalista e scrittore italiano, che può apparire come una sorta di testamento spirituale: “È finito il Fascismo in Europa? Nemmeno per sogno; esso diviene ogni anno più pericoloso, perché ha insegnato a tutti a fare il proprio comodo a dispetto della vita sociale, e ci vuole tempo a riparare una simile diseducazione morale. Dovrebbe essere più facile combattere la forza politica del fascismo. Esso è nato, ha vissuto, e continua dopo morte, sulla base di un ricatto: il pericolo comunista. Chi accetta un ricatto è un vile, e bisogna respingerlo, sia con la forza della nostra fede nella libertà, sia per la convinzione di appartenere a una civiltà superiore”. Leggi tutto “Un rifiuto esemplare”

Attraverso le sbarre il mare

                            

di Matilde Petretti e Silvia Barsotti

 Mare fuori è una serie televisiva di Ivan Silvestrini e Carmine Elia che ci ha molto colpito e ci ha fatto capire alcuni aspetti della società di oggi. Questa serie tv ha come sigla una canzone che esprime al meglio il suo significato. Questa sigla è stata scritta da Stefano Lentini e poi successivamente reinterpretata da un attore. Il titolo della canzone, ma anche della serie, Mare fuori, esprime infatti l’essenza di quest’ultima, racchiudendo in due parole quanto gli autori hanno cercato di trasmettere.

La vicenda è ambientata nel carcere minorile di Napoli, istituto penitenziario minori, nonché IPM, luogo che si lascia alle spalle la città difficile e il mare davanti, vicino e sfuggente, irraggiungibile, inteso come bellezza e libertà. Fuori, appunto, dalla loro portata. I protagonisti sono un gruppo di ragazzi, alcuni originari di Napoli altri invece di altre città, che si ritrovano all’IPM: tra di essi c’è chi sbaglia con la precisa volontà di farlo, chi non si rende conto della gravità dei suoi atti e chi è convinto che il vero sbaglio sia farsi arrestare, e non compiere un reato.

Dalle loro celle, i ragazzi assistono all’impeto delle onde e mantengono vivo il desiderio di libertà. La direttrice Paola Vinci e il comandante della polizia penitenziaria Massimo Valenti si impegnano per rimetterli sulla buona strada e a tracciare per loro un futuro migliore mettendoli in condizione di saper affrontare le numerose avversità che dovranno incontrare durante il loro cammino. Leggi tutto “Attraverso le sbarre il mare”

Mercanti e straccioni a Lucca nel XVI secolo

di Pietro Benedetti

Nella notte tra il 30 aprile ed il primo maggio 1531 gruppi di giovani tessitori variamente armati, sotto le insegne di un drappo nero stracciato (che darà il nome al movimento degli straccioni), scesero in strada per protestare contravvenendo alle norme della Repubblica che vietavano gli assembramenti, per giunta armati. Nel pomeriggio del primo maggio una folla di artigiani, setaioli e popolani si riversarono in gran numero in piazza San Francesco, nel centro di Lucca, per rivendicare l’abrogazione di alcune disposizioni normative che avevano modificato l’attività lavorativa del comparto della tessitura, attività che aveva una massiccia presenza di addetti e che costituiva il settore preminente dell’economia della Repubblica di Lucca; tale attività  le consentì di fatto, attraverso le esportazioni, di ottenere uno sviluppo economico capace di produrre elevati redditi, reinvestiti in attività finanziarie. Funzione questa che aiuterà la piccola Repubblica a mantenere la sua indipendenza, in considerazione della capacità di sostenere, attraverso prestiti, le richieste di grandi monarchie europee, imperiali e non.

Fin dalle prime pagine del suo saggio (La sollevazione degli straccioni. Lucca 1531. Politica e Mercato, Salerno editrice, Isola del Liri (Fr), 2020, pp.190) Renzo Sabbatini ci anticipa la spiegazione delle cause di questa rivolta che lui leggerà nella dialettica tra modernità (libero mercato) e conservatorismo (pace sociale). Brevemente l’autore contestualizza la situazione politico economica in cui avvengono i fatti.

La Repubblica di Lucca, governata da un’oligarchia di famiglie, strettamente connesse alle funzioni mercantili, accetta la proposta dei mercanti di apportare modifiche legislative tali da rendere i filati prodotti competitivi sui mercati europei. I mercanti lucchesi infatti svolgevano la loro attività in Francia, Belgio, Paesi Bassi, Inghilterra fino all’attuale Polonia e stavano assistendo alla difficoltà di consolidare la loro presenza in quel mercato perché la concorrenza si realizzava incidendo sul valore dei prezzi. Leggi tutto “Mercanti e straccioni a Lucca nel XVI secolo”