La chiave della speranza2 min read

 

di Lisabetta Raffaetà

                                                          

 

A tutti gli uomini, donne e bambini detenuti ingiustamente in luoghi infernali.

Vent’anni sono uno spazio lungo da riempire, come un viaggio in una stanza chiusa dove non c’è mai

giorno o notte ma solo sera, una sera che non finisce mai.

E tu?

Tu sei seduto su una panca di fronte ad una parete e fuori la vita, un fiume in piena che scorre, non aspetta nessuno, ma tu rimani qui, qui dove ti sembra di esser sempre stato.

Le hai provate tutte per andartene. Ogni volta ti hanno ripreso.

Dopo ogni fuga o protesta è stato peggio: più isolamento, più costrizioni, più anni da scontare. I legami con l’esterno poi, dopo ogni fuga, si sono allentati fino a spezzarsi.

Ora esistono solo queste pareti e questi corridoi e non pensi più a fuggire, non sei interessato a quello che accade fuori. La libertà per te non esiste nemmeno come parola.

Ti lasci vivere qua dentro.

Di questo luogo conosci ogni angolo, ogni parete, ogni crepa nel muro, ogni scarafaggio.

Cammini in mezzo agli altri lungo tetri corridoi, ma un giorno all’improvviso un nuovo prigioniero ti stringe un polso e ti sussurra sorridendo: – “Una chiave, per terra!”

Lo guardi, sospiri, non gli rispondi.

La tua testa comincia a vagare, non può esserci sul pavimento proprio una chiave, le tue tempie pulsano,

le mani si contorcono.

È la pazzia! Quando si cominciano a vedere cose che svaniscono nel nulla, quando gli altri ti sfiorano e sembra che ti stia per succedere qualcosa di inesorabile, quando il tempo, gli anni, i giorni, le ore non hanno più senso… Sì, può essere solo, solo follia.

Tu ora guardi il giovane prigioniero che si incammina verso una parete, quella laggiù in fondo e con la chiave della sua mente forse aprirà la porta della sua libertà.

Fuori nelle città, la gente continua a sposarsi, a cambiare, amare, vivere.

Qui nulla cambia.

La tua mente vaga di nuovo, forse sei tu che non riesci a vedere la chiave posata su quel pavimento, nemmeno la tua fantasia osa immaginare che ci sia un varco per oltrepassare quei muri.

Ora il giovane prigioniero ti viene di nuovo incontro, i suoi occhi brillano di soddisfazione per aver visto la sua chiave, il tuo sguardo invece è spento, fisso verso il muro laggiù che altro non è per te che uno squallido muro.

Un’altra mattina, un’altra giornata e tu sei sempre lo stesso, ti lasci vivere qui dentro tra le cose di sempre, le cose di ieri, di domani, di non sai quando.

Per la millesima volta con la mano tocchi il muro, e il tuo sguardo non riesce ad andare oltre.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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