Sei mia sorella4 min read

Lisabetta Raffaetà

La panchina su cui stiamo è fredda e scomoda, intorno a noi un materasso di foglie di platano sembra chiamarci a giocare come ormai i grandi non fanno più. Da piccole nel nostro giardino c’era un acero ed in autunno ti rincorrevo sul suo tappeto rosso. I tuoi piedini veloci e inquieti affondavano sulle foglie ormai secche e scricchiolanti sotto il tuo piccolo corpo. Io speravo che ti cedesse una caviglia, che cadessi sbucciandoti le ginocchia. Avevo quattro anni quando sei arrivata e ti sei presa tutto. Mamma, papà, l’altalena, le passeggiate con la nonna, tutto quello che prima era mio.  Sorrido, sono ricordi, ora sono solo lontani ricordi.

Mi giro, ti guardo seduta su questa panchina grigia, in un grigio giorno d’autunno ed anche il tuo volto è grigio, quasi livido direi. Sulle guance scavate dalla vita si incollano ciocche di capelli castani, sfibrati opachi, i tuoi meravigliosi occhi sembrano ora aver persino cambiato colore , non più verdi  ma plumbei , grigi come uno stagno profondo dove anneghi ogni giorno. I tuoi abiti odorano di sudore e tabacco stantio, non hai più voglia di lavarti, lei è tornata …l’angoscia, la morte, l’Alcol…

-Stanotte ho fatto un sogno -dici con gli occhi sgranati.

-Ho sognato l’altalena di quando eravamo piccole – continui, poi cade dolcemente una foglia secca sulle gambe. La prendi per il picciolo e la fissi.

-D’autunno le foglie si lasciano morire per amore, perché l’albero possa vivere.

-Non è vero -ribatto -Le foglie non amano, non pensano, completano il loro ciclo vitale.

Ora mi scruti imbronciata, come da bambina quando non ti assecondavo e come allora con voce stridula provi a gridare -L’albero non le vuole più, le fa morire per questo!

Esausta delle sue sciocchezze la sgrido, ma subito mi pento. Sono sfinita, va avanti così da mesi,

ho provato tutto quello che potevo, medici, stregoni, vacanze insieme ma niente, non ti muovi di un passo.

A volte credo tu mi voglia tormentare o forse punire, ma di cosa?

Vuoi farmi tremare di paura quando cadi all’improvviso o quando ti chiudi in bagno e gridi che vuoi morire. Mi capita di pensare che hai ragione, che dovrei lasciarti vivere la tua vita sgangherata, isterica, capricciosa ed egoista come pochi. Eppure nonostante tutto non me ne vado.

Sei mia sorella.

Quando hai compiuto tre anni mi sono arresa all’idea che saresti rimasta per sempre il batuffolo di casa. Non avrei riavuto indietro nulla di quello che avevo prima, così ho cominciato a tollerare che tu mi   crescessi accanto come un ingombro prepotente e viziato che mi toccava sopportare.

Gli anni passarono e tu conoscesti Fausto. Tutti in paese sapevano chi era, ma io non ho mosso un

Dito per metterti in guardia. Mi sono detta, finalmente arriva uno che ti fa sbattere la testa così maturi un po’.

L’idea che quel delinquentello ti avrebbe fatto soffrire in fondo in fondo mi stuzzicava, dopo tanti anni non ti avevo perdonato di essere nata.

Ora il cielo comincia a scurire, l’umido avvolge i nostri corpi, la sera sta scendendo piano piano. Io ti prendo sottobraccio e ti conduco verso casa, avanziamo in silenzio una di fianco all’altra, tu con le spalle curve e spigolose da anoressica e le ginocchia che sembrano sul punto di spezzarsi da un momento all’altro.

Fare il bagno nella vasca ti è sempre piaciuto e il bagno schiuma alla rosa selvatica ti accarezza la pelle come la mano di mamma. Ti lasci coccolare dal tepore dell’acqua, ma io di fronte a te non posso ignorare i tuoi lividi, le ossa sporgenti e le bruciature sulla pelle inferte da Fausto.

Riuscirai a sopravvivere piccola foglia scheletrica?

Ti accarezzo i capelli bagnati e mi chiedo se la paura che tu non ce la faccia tormenterà il resto dei miei giorni, non ho mai saputo difenderti forse è solo questa la verità.

Ora vestita con i miei abiti nuovi e tutta pulita sei di nuovo bella, l’odio, la paura e la sofferenza sono ben nascoste nello scrigno del tuo cuore; mi stringi la mano forte e mi sussurri

-Continua a spingere l’altalena della mia vita, come da piccola, stai tranquilla, mi fido, dopo trenta anni ancora sei qui.

Marta indossa il mio caldo cappotto di lana, sembra enorme nel suo corpicino, ma lei abbozza un sorriso e scompare come sempre lungo il vialetto di casa mia.

Marta ha chiuso a doppia mandata il suo cuore straziato ha gettato la chiave che nessuno troverà, anche io troppo tardi ho imparato a volerti bene, troppo tardi ho liberato il mio cuore geloso di bambina.

Arrivederci Marta, a presto sorellina, ti aspetto sulla nostra panchina.

 

 

 

 

Lascia un commento